Marta Scalabrini

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Storie di comunità, idee, prodotti e terre reggiane

Ritratti di un paesaggio


Marta Scalabrini
32 anni, cuoca. Un anno fa ha aperto in città un ristorante tutto suo, Marta in cucina, dove la tradizione assume forme nuove, inattese.

«Perché Marta in cucina? Perché voglio che sia chiaro a tutti, subito, che di là in cucina ci sono io, la Marta.
Il fatto è che a questo lavoro sono arrivata tardi, dopo aver percorso mille strade. Ho studiato comunicazione, marketing, design. Tutta roba che è servita e che ora torna nei piatti che invento con i miei soci Ivan e Giorgio, nel nostro modo di proporre il menu o di progettare un evento dentro il locale.
Il mio ristorante non ha niente di tradizionale e ha tutto di tradizionale. Ha i sapori della tradizione perché i miei piedi sono piantati a Reggio Emilia, ma sono contaminati dal mio girovagare. A 18 anni volevo solo andare via, mi sembrava che questa città non potesse offrirmi niente. Poi ho avuto bisogno di tornare. È la sindrome del piccione viaggiatore: parti, cerchi, metti insieme i pezzi, ma alla fine torni e ti ritrovi dove eri partito. Perché capisci che era qui il Sacro Graal.
Però abbiamo dovuto lottare un po’ con la città, perché a Reggio si mangia molto, ci si appaga con un piattone di tortelli e via. Il discorso che facciamo qui è diverso: proponiamo piatti pensati, che abbiamo messo a punto sperimentando.
So che questa è la mia strada, anche se la testa non riesco a tenerla ferma. Ora abbiamo preso un altro spazio e stiamo facendo un corso di scrittura sul cibo con artisti che intervengono a loro volta sui nostri piatti.
Per noi cucinare non è fare due tagliatelle, ma riflettere su tutto ciò che il cibo veicola. Magari partendo dalle tagliatelle».

«Why Marta in cucina? Because I want it to be clear from the start, to everybody, that it’s me, Marta, in the kitchen.I started working as a chef after following thousands of different paths. I studied communication, marketing and design. And it has all been useful to me, now I have channelled it into the dishes I invent with my partners Ivan and Giorgio, into the creation of menus and the planning of events at the restaurant.There’s nothing traditional about my restaurant and yet everything is traditional. It features the flavours of tradition because I’m firmly rooted in Reggio Emilia, but these flavours have been contaminated with my travels. When I was 18 all I wanted to do was leave, I felt that this city had nothing to offer me. Then I felt the need to return. This is akin to messenger pigeon syndrome; you leave, search, put the pieces together but then in the end you return to your point of departure. Because you understand that the Holy Grail was here all along.But the city’s put up a bit of fight, because in Reggio there’s lots to eat, people often satisfy their hunger by quaffing down a plate of tortelli. The concept behind our restaurant is different: here we serve dishes which have been developed from experimentation.
I know that this is the path for me, even though I can’t get my head around it sometimes. Now we’ve got a second property and we’re running a writing course with artists who contribute to our dishes.
For us cooking is more than just rustling up a plate of tagliatelle, it’s about reflecting on everything that food conveys. Perhaps starting with tagliatelle.

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