CARATTERI

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Jusepe de Ribera detto lo Spagnoletto (1591-1652) è considerato uno degli incisori e disegnatori più inventivi del suo tempo. Mentre l’incisione fu un interesse passeggero, il disegno fu invece “a lifelong passion”, come ha scritto Jonathan Brown, e con questo medium l’artista ha espresso aspetti della sua personalità difficilmente traducibili in pittura. È il caso della fortunatissima serie delle Teste grottesche, nota attraverso disegni e incisioni, di cui il Museo di Reggio Emilia possiede un esemplare, realizzato a penna e inchiostro bruno, proveniente dalla collezione di Antonio Villani. Il vecchio barbuto, dai tratti del satiro o forse di Dioniso, è reso con un segno fortemente inciso, sottile e tormentato e ha come modello le famose Teste grottesche di Leonardo.

Non diversamente, la Testa d’uomo di profilo di Giovanni Costetti (1874-1949), al limite della deformazione espressionista, attinge invece alla tradizione del ritratto umanistico quattrocentesco, probabilmente nordico. Diversamente da Ribera, che si basa su un prototipo ideale, il volto scarno e duro indagato con la matita da Costetti potrebbe essere stato tratto direttamente da un modello.
Maestro indiscusso della ripresa “dal vero” fu Gaetano Chierici (1838-1920), artista capace di bloccare, come in uno scatto fotografico, l’attimo più intenso di scene all’apparenza genuinamente domestiche. Il Ritratto d’uomo di Chierici dialoga con il Ritratto di giovane a mezzo busto di Bernardino Poccetti (1548-1612), rappresentante della riforma fiorentina della fine del Cinquecento.
La “verità” dei ritratti di Poccetti prefigura il naturalismo carraccesco e la figura di genere seicentesca, pur mantenendo ancora vivo un forte legame con la tradizione, mentre l’immediatezza del ritratto di Chierici deriva da una presa diretta del modello.
Vi sono infine alcuni fogli di “caratteri” non finiti. La perfezione della linea, il riferimento costante all’antico e a maestri contemporanei come Ingres, la distribuzione sapiente delle luci con la biacca spiccano nell’originale Studio testa di Prospero Minghetti, nel quale la parte del busto, non finita, è occupata da uno schizzo con una testa femminile classica, forse disegnata precedentemente.
Nell’Autoritratto di Ottorino Davoli (1888-1945), invece, la forma si è dissolta, la linea di contorno è divenuta gesto, segno potentemente espressivo. Il volto è paesaggio dell’anima.

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