Un’eredità romantica
1952- 54 , DA LONGHI AD ARCANGELI
“Una mostra di Fontanesi accanto a Corot sarebbe l’unica che resisterebbe” scrive Roberto Longhi al Segretario della Biennale di Venezia in preparazione dell’edizione del 1952 dove l’artista esporrà accostato ai piemontesi Enrico Reycend, Lorenzo Delleani, Vittorio Avondo. Significative le sue considerazioni su Fontanesi, dove parla del “soffio poetico”, dell’”aspetto, per essenza, evocativo, del paesaggio romantico.” E i nomi che snocciola a sostegno: dalle “fonti illustri di Claudio e di Ruysdael” , a quelli di Corot, di Constable e di Turner, auspicando che “penetri nella coscienza comune la certezza che il Fontanesi sta sul piano dei maggiori romantici d’Europa.”
L’apprezzamento di Fontanesi da parte di una figura del prestigio di Longhi, tutt’altro che generoso nei confronti dell’Ottocento italiano, costituirà un viatico importantissimo per il più giovane critico Francesco Arcangeli proprio in questi anni impegnato nell’individuazione di ‘tramandi’ che per vie diverse potevano riconoscersi tra la pittura romantica e quella informale(dagli ultimi naturalisti fino, sia pure in accezione distinta, a Alberto Burri).
Comune a questa eredità romantica ancora viva è per il critico il “nuovo significato dato alla parola natura: un significato che include tutto l’irrazionale degli elementi del cuore”.
Nel suo scritto per Fontanesi del 1955 la fontanesiana “ poesia del vero” sembra sprofondata in una quasi febbrile corrispondenza esistenziale con i pittori dell’ultimo naturalismo: “…é come se l’immensa vita della luce, toccando terra, patisse un’eclissi che prende la forma, fulva o nerastra, d’una ripa, d’una figura, d’un bosco” si legge, oppure, per riportare solo qualche stralcio: “… è sempre un senso come di larve in gestazione o in segreto sfacelo” E’ forse lecito pensare che dagli ‘ultimi naturalisti’ Arcangeli abbia trovato gli accenti più sensibili per rileggere romanticamente Fontanesi e la sua eredità.
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