Enrico Gabrielli, musicista (1976)
Nato a Montevarchi (Arezzo) e diplomatosi con il massimo dei voti in clarinetto al Conservatorio “Giuseppe Verdi” di Milano dove studia composizione a fianco di Salvatore Sciarrino, Alessandro Solbiati e Danilo Lorenzini, Enrico Gabrielli è polistrumentista, compositore, arrangiatore, produttore discografico e scrittore.
Suoi lavori sono stati eseguiti dal Fontana Mix ensemble, dall’orchestra dell’Arena di Verona, dall’orchestra di Milano Classica, dal Laboratorio di Musica Contemporanea del Conservatorio di Milano, dalla Filmharmony Orchestra di Wroclaw (PL).
È tra i fondatori nel 1996 dell’Ensemble Risognanze con cui suona moltissima musica contemporanea, oltre che con l’European Music Project di Ulm e il Sonata Islands. Partecipa a molte performance e installazioni audiovisive (Timet, Sottosuono, LabF.S, LaRis). In seguito decide di occuparsi di popular music, con l’obiettivo di innalzare lo spessore di ascolto di ciò che riduttivamente viene definita “musica di consumo”. Fonda nel 1999 i Mariposa, nel 2007 i Calibro 35 e nel 2016 i The Winstons. Fa parte in pianta stabile del progetto di Mike Patton Mondo Cane, un progetto di rilettura del repertorio di canzoni italiane anni ’60 per grande ensemble. Dopo aver partecipato alle registrazioni al “Somerset House” di Londra nel gennaio 2015 è entrato a far parte della band che ha portato in un worldwide tour per due anni il disco The Hope Six Demolition Project di PJ Harvey.
Collabora anche con Afterhours, Baustelle, Vinicio Capossela, Dente, Zen Circus, Morgan, Nada, Daniele Silvestri, Niccolò Fabi ed ha suonato con importanti artisti del panorama internazionale (Muse, Steve Wynn dei Dream Syndicate, Buck e Mills dei R.E.M, Aldous Harding, Daniel Johnston, Damo Suzuki, Daevid Allen dei Gong e Richard Sinclair dei Caravan). Ha collaborato con i produttori Mark “Flood” Harris, John Parish, Eli Crews, AJ Mogis e Rob Ellis.
Al Biografilm Festival 2015 di Bologna e a In-Edit di Barcellona, è stato presentato un suo film a metà strada tra l’esperimento collettivo e il documentario d’osservazione, dal titolo UPm – Unità di Produzione Musicale, realizzato assieme allo storico della fotografica Sergio Giusti e ai documentaristi Enece Film. Da questa idea è nata una performance messa in atto a Fabbrica Europa 2015 dal titolo Uds – Unità di Sonorizzazione caratterizzata dallo stesso principio generativo ma applicato a video e immagini.
Sempre a Fabbrica Europa nel 2018 ha presentato la performance Piccolo Ensemble di Comunicazione dove una classe del Liceo Musicale di Arezzo è stata coinvolta in una partitura relazionale che usava come mezzo la segreteria telefonica a nastro.
Assieme al percussionista Sebastiano De Gennaro e al musicologo Francesco Fusaro e alla social manager Tina Lamorgese ha dato il via alla collana discografica su abbonamento di “anti-classici” della musica 19’40’‘ (www. 19m40s.com). Questo nuovo soggetto editoriale gli ha consentito di riprendere uno stretto rapporto con la musica colta, ma con una visione sperimentale e innovativa, rivolta alla divulgazione e all’audience development. Ha partecipato così a molteplici iniziative come i Premi Ubu 2018, Milano Musica, Angelica, RomaEuropaFestival, Fondaco dei Tedeschi di Venezia, Biennale d’arte di Venezia 2018, Radio3 Suite e moltissimi altri.
In alcuni spazi adibiti all’ascolto di popular music ha organizzato, spesso in collaborazione con Sebastiano De Gennaro, rassegne di musica colta col preciso scopo di decontestualizzare l’ascolto e di restituire ad un pubblico meno settoriale questa “nuova” musica.
Nel maggio 2017 ha pubblicato per EKT-Edikit editore Le Piscine Terminali, raccolta di racconti di fantascienza nera e dell’imprevisto. Il suo blog di scritti e disegni risponde alla pagina: www.per-iscritto.com
A lui chiediamo di spiegarci il progetto che presenterà a Reggio Emilia in occasione della Notte Europea dei Musei 2019, evento che declina il tema indicato da ICOM “Musei come hub culturali: il futuro della tradizione” ispirandosi alla Natura, argomento così presente nelle opere del grande artista reggiano Antonio Fontanesi in mostra a Palazzo dei Musei fino al 14 luglio ed oggi di grande attualità.
“Mother Earth’s Plantasia”, raccontaci come è nata l’idea di questo progetto:
«Un giorno Francesco Fusaro, l’ingegnoso musicologo e dj della 19’40’’ mi parlò di una sua idea di fare un disco ambientalista. Il problema era da dove cominciare. Ambientalista, ecosostenibile, ecologico sono tutte cose che in musica si traducono male.
Anche perché a ben sentire, solo il silenzio è la musica più ecologica che ci sia. Il silenzio è il predominio della natura che suona, anzi: è il suono dell’uomo che lascia suonare il mondo. L’assenza dell’uomo sarebbe la cosa più ecologica che c’è. E quindi l’uomo non può fare un disco ecosostenibile per ragioni intrinseche. Stavo per rispondere che la sua idea mi sembrava irrealizzabile.
In seguito il musicista Sebastiano De Gennaro mi parlò di un disco bizzarro, registrato nel 1976 da Mort Garson, un arrangiatore e compositore americano di musica leggera, che si intitola “Mother Earth’s Plantasia”: forse nel solco, ormai tardo, del movimento hippie californiano questo curioso signore aveva deciso di produrre un lavoro sonoro specifico per “la crescita delle piante”…»
Parlando di contenuti, di che cosa si tratta?
«Mort Garson, canadese di nascita, californiano per vocazione, è stato un musicista eclettico: pianista, compositore, autore di sigle televisive, colonne sonore, canzoni che altri hanno portato in vetta alle classifiche, pioniere della musica elettronica. Non a caso negli ultimi tempi è diventato oggetto di un culto sempre più diffuso, con un numero crescente di devoti pronti a contendersi a suon di dollari prime stampe e riedizioni più o meno clandestine.
Mother Earth’s Plantasia, concept proto-ambientalista del 1976 è forse il più originale di tutti i dischi di Garson. «Warm earth music for plants… and the people who love them», recita il sottotitolo; cioè musica per le piante e per chi le ama. Per aiutarle a crescere sane e forti, come si promette in copertina, con tanto di manualino del perfetto giardiniere scritto da due botanici e illustrato magnificamente da Marvin Rubin.
Dietro tutta l’eccentricità di questa operazione però vi è la musica, contenuta in questo disco, che è meravigliosa. Dieci i brani dai buffi titoli tipo “Rapsody in Green” o “Concerto for Philodendron & Photos”, che provengono dall’ingegno di un vero artigiano della forma strumentale, da uno che di scrittura armonica e di coscienza compositiva ne sapeva. Un trionfo di sintetizzatori al confine tra exotica, easy listening, lounge, space-pop, library music ed elettronica di ricerca. Dal Moroder-sound dell’iniziale “Plantasia”, alle cadenze robotiche di “Baby’s Tears Blues”; dalla bucolica “Ode to an African Violet”, alla morriconiana “Concerto for Philodendron and Pothos”; dalla sofficissima ”Rhapsody in Green”, alle scanzonate “Swingin’ Spathiphyllums” e “You don’t Have to Walk a Begonia”.
Probabilmente l’ossatura del progetto era nata dal pianoforte, ma, successivamente, Garson aveva deciso di registrare tutto quanto con l’esclusivo uso del Moog e di altri sintetizzatori di cui, all’epoca, era un felice pioniere. Prima di “Plantasia” aveva inciso altri dischi sempre e solo valorizzando la natura sintetico analogica del suono, con oscillatori e modulatori, che, all’epoca, parevano il futuro e allo stesso tempo la realizzazione della purezza temperata.
Per quanto “Plantasia” non sia un disco ecosostenibile di fatto e non contribuisca minimamente alla crescita delle piante (il consumo elettrico di un laboratorio fonologico pieno di oscillatori nel 1976 non era certo parsimonioso), è un progetto talmente para-scientifico, da essere perfetto per la crescita dei bambini. L’ho sperimentato di persona e funziona a meraviglia!
E così abbiamo deciso di proporlo dal vivo usando anche noi i sintetizzatori, con tutti i suoi dieci quadri e una storia che legasse la “Pahtiphilus” con la “Snake Plant” in una maniera del tutto pretestuosa, che, siamo certi, Mort Garson avrebbe apprezzato.»
Innovazione, ricerca, divulgazione: con chi condividi questo progetto e quali sono i vostri obiettivi?
«Esecutori di Metallo su Carta, è un ensemble emanazione della collana discografica su abbonamento 19’40’’. L’ensemble, formato nel 2014 dal sottoscritto e Sebastiano de Gennaro, è composto da musicisti di provenienze culturali estremamente differenti, uniti nel tentativo di dipanare alcuni interrogativi sul rapporto tra il linguaggio della musica contemporanea erudita ed il linguaggio della musica contemporanea incolta, il metal, il noise e l’avant-garde.
Da diversi anni insieme svolgiamo in maniera anticonvenzionale un’indagine sulla musica colta contemporanea, sulle sue possibili contaminazioni e sulla sua inevitabile diffusione al di fuori degli ambienti accademici. Nei nostri concerti le partiture a volte vengono eseguite con dovizia di particolari e altre volte subiscono un intervento di “iper-interpretazione”: ciò è dovuto a un rapporto sensibile con il contesto sociale in cui avviene la performance. Lo studio del contesto e delle modalità di approccio, uniti all’esperienza acquisita negli anni in luoghi ricreativi, sono i fondamenti del nostro lavoro. È un ensemble specializzato nell’approccio “altro” che vuole superare la vecchia contrapposizione tra il colto e l’in-colto e che vuole cimentarsi in lavori di arrangiamento, di rielaborazione o di esecuzione nell’ambito della popular music così come affrontare anche brani di repertorio storico del ‘900 e contemporaneo.
La formazione di Esecutori di Metallo su Carta ha esordito nella primavera 2014 per eseguire trascrizioni di brani tratti dal repertorio di band strumentali italiane di area alternativa e metal–math–rock. Ha inoltre collaborato alla realizzazione di alcune opere discografiche di artisti di popular music, eseguendo arrangiamenti scritti su carta che tentino di rompere gli schemi del semplicismo arrangiativo nelle prassi produttive discografiche e concertistiche degli ultimi venti anni.»