Ivan Cenzi, come ama definirsi, è un “esploratore del perturbante” e grazie a questa sua attività di ricerca minuziosa e ad una narrazione raffinata dal 2009, con il suo blog Bizzarro Bazar (bizzarrobazar.com), avvicina il grande pubblico a tutto ciò che di insolito, macabro e meraviglioso accade in questo “strano luogo che è il nostro Universo”. Nel 2019 la sua attività diventa una web serie di divulgazione storico-scientifica. Autore di diversi volumi – tra cui “La Veglia Eterna” sulle Catacombe di Palermo, “De Profundis” sul Cimitero delle Fontanelle, “Mors Pretiosa” sugli ossari religiosi italiani, “Sua Maestà Anatomica” sul Museo di Anatomia Patologica di Padova, “Il pietrificatore” sulla Collezione Paolo Gorini di Lodi -, dal 2019 è docente all’Università di Padova per il master in Death Studies e per il corso di laurea in Psicologia delle relazioni di fine vita.
Agli inizi del 2021 ha realizzato a Palazzo dei Musei, con la regia di Francesco Erba, il secondo ciclo della web serie Bizzarro Bazar che ci accompagnerà ogni domenica a cadenza bisettimanale fino alla fine di luglio. Per questo gli abbiamo voluto fare alcune domande sul suo lavoro, sul significato che veicola e sulla sua ispirazione…
Raccontare la normalità della diversità, cosa vuol dire per te?
Si parte sempre prevenuti nei confronti di ciò che si discosta dalla norma, e non solo perché non ci garbano tanto le novità.
C’è un Diverso “esterno”, e in quel caso la necessità è di designare un nemico (vero o immaginato, poco importa) che minacci la nostra identità sociale così che, per reazione, essa si mantenga coesa e forte. Le tribù limitrofe adorano sempre gli dei sbagliati, praticano sempre usanze abominevoli, non sono veri uomini ma dei mostri.
Poi c’è il Diverso “interno”, prodotto dalla nostra stessa società, che è visto come deviante e che dunque va sacrificato sull’altare (più o meno metaforico) per purgare la collettività dal Male. Questo tipo di persone sono state da sempre emarginate, ghettizzate, medicalizzate, messe al bando quando non concretamente epurate.
Per contrastare questa duplice narrativa fatta di odio e paura si può procedere in due modi: o si mostra che il Diverso non esiste davvero, e che «siamo tutti uguali»; oppure si mostra che è l’identità stessa della polis a essere un costrutto abbastanza posticcio, e che in realtà «siamo tutti diversi».
Nonostante io abbia praticato anche la prima via, per esempio raccontando vite eccezionali di persone “rimosse”, la trovo un po’ più facile e in certi casi eticamente ambigua per tutta una serie di motivi; di conseguenza, ho cominciato a preferire la seconda via.
Rispetto a normalizzare la diversità, cioè, trovo molto più interessante il processo inverso: evidenziare quanto la presunta normalità sia in larga parte un’illusione identitaria.
Sul filo degli anni mi sono reso conto che il liminale, cioè tutto ciò che sta ai margini, ai confini dell’immaginario collettivo, paradossalmente lo si trova anche annidato nel bel mezzo della mappa. Mi spiego meglio: non occorre spingersi a cercare il bizzarro in latitudini distanti ed esotiche, quando anche solo centocinquanta anni fa in Italia c’erano scienziati che pietrificavano cadaveri, si facevano ballare i tavoli nelle sedute spiritiche, si iniettava succo di testicoli di mammiferi per guarire le malattie mentali, c’erano donne che grazie al sonnambulismo diventavano potenti e temute, si organizzavano rappresentazioni sacre usando le ossa dei morti come scenografia e nelle piazze si seguiva ancora la liturgia delle esecuzioni capitali.
Setacciare le pieghe della storia, insomma, rimanda un’immagine della nostra stessa cultura che è tutto fuorché monolitica. Il discorso sociale è sempre stato messo in discussione e rinegoziato costantemente. E lo è tuttora, non solo nelle manifestazioni di piazza o nella politica, ma perfino nella dimensione privata – a una cena di famiglia, al tavolo di un bar, ogni volta che sui social c’è un nuovo trending topic.
Da qualsiasi punto di vista la si guardi, in questo strano universo e tra i nostri strani simili, più si cerca e meno si trova traccia di “normalità”.
Quali sono state le tue esperienze più formative?
Dopo gli studi accademici, incentrati sulla semiotica dell’arte e in particolare sul linguaggio cinematografico, stanco della teoria ho deciso di passare dall’altra parte della barricata e di sporcarmi le mani provando a fare cinema concretamente, invece di analizzarlo e basta.
Ho quindi lavorato nell’ambiente per una quindicina d’anni, con una casa di produzione cinematografica fondata assieme a due miei sodali; ciò che ci univa era il gusto per tutti gli aspetti più stravaganti, surreali ed eccentrici della vita. Assieme a loro ho imparato ad allenare lo sguardo in modo da individuare la stranezza del mondo anche nei dettagli più banali, a riconoscere i glitch della realtà, come in Matrix.
Nel frattempo, il mio blog stava crescendo e diventava a poco a poco un lavoro vero.
Quindi c’è stato un periodo, direi intorno al 2015, in cui la mia routine era un fantastico sogno a occhi aperti: potevo spendere la mattina in una sessione di brainstorming con i colleghi per risolvere gli snodi creativi dell’ultima sceneggiatura, recarmi il pomeriggio su un set in cui si animavano draghi e donne-pipistrello e la notte scendere in una cripta per osservare da vicino mummie per scriverne libri. Il tutto intervallato da interazioni e collaborazioni con illusionisti, cacciatori di reliquie, antropologi, sessuologi, ipnotisti, collezionisti di meraviglie.
Quello, finora, è stato il momento per me più fecondo, in cui mi pareva quasi di avere il personalissimo “superpotere” di attirare, come un magnete involontario, situazioni e personaggi bizzarri…
Ma succede: quando corteggi l’assurdo abbastanza a lungo, anche l’assurdo comincia a corteggiare te.
Quali sono i tuoi progetti per il futuro?
Dopo la bellissima esperienza con i Musei Civici di Reggio Emilia, mi piacerebbe portare la serie web di Bizzarro Bazar anche in altri musei italiani; soprattutto considerato che, a fronte di uno dei patrimoni museali più ricchi del mondo, ci sono ancora tante collezioni straordinarie che soffrono di poca visibilità. Però, come si dice nel cinema: niente spoiler!