#IlMuseoFuori / Non sempre la stessa storia!

“24 dicembre 1885: ultimi trovamenti di Remedello.”
Si interrompe così, con questo appunto, l’ultimo taccuino di Gaetano Chierici, ottavo di una serie oggi custodita negli archivi dei Musei Civici di Reggio Emilia: annotazioni di scavo, schizzi, planimetrie, osservazioni di un archeologo di fine Ottocento.
Un’aura particolare permea quel quaderno su tutti, ultimo, inconcluso, testimone parlante di una vita interrotta da una polmonite, sopraggiunta come conseguenza delle rigide temperature di uno scavo d’inverno, contro cui nulla ha potuto, nemmeno un animo forte come quello di Chierici.
Quello stesso dicembre, malato, caparbio, indomito, incurante delle prescrizioni mediche che gli imponevano riposo, Chierici si reca al museo, il Museo di Storia Patria, nato nel 1870 dalla sua volontà, per osservare i frutti dell’ultima fatica, eccitato per l’apertura delle casse giunte direttamente dal campo, per dare istruzioni e assistere, cedendo il testimone di un’eredità immensa.

Appunti e schizzi dei ritrovamenti di Remedello nell’ultimo Taccuino di scavo di Gaetano Chierici, ora esposto in un armadio della sala dedicata al metodo Chierici nella sezione “Archeologos” dei nuovi allestimenti dei Musei Civici di Reggio Emilia

Remedello Sotto (Brescia), l’ultimo scavo. Punto di riferimento di un complesso culturale tra Neolitico e Età del Bronzo, che Chierici aveva intuito e per cui coniò la denominazione di eneo-litico, una novità per l’Italia, ma non per l’Europa. Una necropoli in cui sono state individuate circa 164 tombe, che costituiscono una parte soltanto dell’effettiva consistenza del sepolcreto, in gran parte distrutto dai lavori agricoli, in parte forse ancora da scavare: personaggi di rango con pugnali, asce, punte di freccia, recipienti, ornamenti, uomini e donne con le malattie visibili nei denti, le credenze leggibili nella posizione dei corpi, le ossa scomposte e rimescolate nei rituali post mortem. Tombe, una piccola ma significativa selezione, trasferite intatte al museo come da disposizioni di Chierici, ne ingombrano lo spazio tra gli armadi della preistoria reggiana e quelli dedicati all’archeologia di regioni del versante adriatico dell’Italia. Altre si raccontano nei cartoni conservati nelle casse 100 e 101, che raffigurano la disposizione degli scheletri, eseguiti o fatti eseguire dal Bandieri, direttore di scavo a Remedello, scrupoloso e appassionato, sempre presente sul campo e al quale, dopo la morte di Chierici, l’amministrazione comunale di Reggio affidò il compito di collocare e ordinare nel museo quanto raccolto durante le ricerche.

La tomba n° 100 di Remedello nel cartone eseguito o fatto eseguire da G. Bandieri, collocato nella cassa n°100 del Museo G. Chierici di Paletnologia

Un patrimonio inestimabile, un punto di riferimento per chi studia e mira a comprendere l’Età del Rame, per i musei internazionali che la mettono in scena per il pubblico. E così Remedello da sempre viaggia per il mondo, portando lontana la fama di Chierici e contribuendo a potenziare quel circuito internazionale di scambi dinamico e ricco di stimoli, di cui fanno parte i Musei Civici di Reggio Emilia.

Caso più recente quello del Museo Nazionale Svizzero di Zurigo, che ha richiesto in prestito ai musei reggiani 21 reperti dai corredi di questa necropoli per la mostra “Menschen. In stein gemeisselt”, visibile fino a gennaio 2022, dedicata alle statue stele antropomorfe, monumenti di pietra di grandi dimensioni su cui l’uomo, a partire dal IV e soprattutto nel III millennio a.C., rappresenta sé stesso, marcando il paesaggio con la sua presenza. Una quarantina, arrivate a Zurigo da vari musei europei e qui disposte in lungo corteo, testimoni segrete di un’epoca a cui non abbiamo accesso diretto per mancanza di prove scritte. Persone, fisionomie, sguardi delicati, nasi allungati, sopracciglia marcate. La pietra il materiale scelto, per garantire longevità al messaggio. Dei, capi, individui di rango, figure di spicco all’interno della comunità di appartenenza, riconoscibili per i pugnali, le asce, gli ornamenti, i tessuti, elementi funzionali, ma qui caricati di valore simbolico e appannaggio di pochi. In una sezione della mostra il confronto si gioca nell’accostamento tra le rappresentazioni bidimensionali di oggetti incisi sulle stele e oggetti reali, del tutto simili, facenti parte dei corredi funerari di Remedello, per suggerire nuovi scenari di interpretazione delle società che hanno prodotto tali manufatti.[column size=”one-half” position=”first”][/column][column size=”one-half” position=”last”][/column][Particolari dell’allestimento della mostra “Menschen. In stein gemeisselt”, in corso fino al 6 gennaio 2022 presso il Museo Nazionale Svizzero di Zurigo. © Museo nazionale svizzero, Fotografia Jörg Brandt

Oltre 150 anni fa nasceva il Museo voluto da Gaetano Chierici, oggi “Museo G. Chierici di Paletnologia”, esempio della museografia di tardo Ottocento, una sorta di museo nel museo che conserva negli arredi e nell’ordinamento delle raccolte, le intenzioni del fondatore. La missione che i Musei Civici di Reggio Emilia continuano a perseguire è quella di far rivivere questa straordinaria eredità, di portare all’attenzione il valore del metodo scientifico nella ricerca archeologica, da Chierici pionieristicamente sperimentato, pertanto la possibilità di attualizzare la sua collezione all’interno di nuove narrazioni, come sta avvenendo nel museo svizzero, costituisce una grande opportunità

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Presentazione degli oggetti della necropoli eneolitica di Remedello nella mostra “Menschen. In stein gemeisselt”, in corso fino al 6 gennaio 2022 presso il Museo Nazionale Svizzero di Zurigo © Museo nazionale svizzero, Fotografia Jörg Brandt

Nella sezione Archeo-logos dei Musei Civici di Reggio Emilia, pur nella prorompente modernità degli allestimenti firmati dall’architetto Italo Rota, si vuole suggerire la relazione con la museografia di Chierici: il racconto, che si dipana in un flusso ininterrotto dalla collezione locale, intrecciandosi con storia più generale, l’organizzazione tassonomica dei reperti, l’inserimento nelle vetrine espositive di oggetti provenienti dalle collezioni civiche non archeologiche, per un approccio multidisciplinare al passato, evocano l’esistenza di un sottile, quanto imprescindibile, fil rouge con il museo Ottocentesco.

Qua e là i rimandi si fanno più espliciti, laddove ad esempio l’equipaggiamento di un moderno escursionista fa da riflesso alla storia di Ötzi, la mummia rinvenuta tra i ghiacci del Similaun nel 1991, che indossava una parure di oggetti tra indumenti e strumenti per la sopravvivenza, la difesa personale e l’orientamento, che trovano modelli corrispondenti 4000 anni dopo. Non un semplice divertissement all’interno delle vetrine dedicate all’archeologia, ma un esplicito riferimento alla tomba n° 102 di Remedello, da cui proviene un’ascia in rame molto simile a quella rinvenuta con Ötzi.


Particolare della sezione Archeo-logos all’interno dei nuovi allestimenti dei Musei Civici di Reggio Emilia

Non sarà un caso, quindi, che proprio verso il museo Archeologico dell’Alto Adige, lo stesso costruito intorno alla valorizzazione dell’Uomo dei Ghiacci, viaggerà molto presto un’altra ascia in rame da Remedello. L’occasione sarà una nuova mostra dal titolo “Stone Age Connections. Mobilità ai tempi di Ötzi”, visibile a Bolzano da novembre 2021 a novembre 2022.

Giada Pellegrini