La terza edizione di Fotografia Europea è stata dedicata al controverso concetto di corpo indagato nelle sue molteplici e a volte radicalmente opposte accezioni. UMANO TROPPO UMANO, che individua bene l’argomento dell’edizione, prevede l’esposizione di scatti di artisti internazionali che si interrogano, in modo diverso, sul tema del corpo.
Dal corpo “esibito”, trasformato dal rinnovato culto della forma fisica e del bel vivere in strumento malleabile di piacere e performance; al corpo post-tecnologico, che fa i conti con i nuovi media, la virtualità e l’interconnessione. Dal corpo tormentato e consunto, straziato ai limiti del tollerabile da nuove guerre, nuove armi, nuove malattie, nuove miserie; al corpo inerte, sezionato, oggetto della ricerca scientifica che lo analizza e lo studia con distacco oggettivo. Per arrivare al corpo stesso dell’immagine fotografica, un corpo che negli anni si è evoluto e modificato quanto quello umano, facendo proprie nuove tecniche, nuovi materiali, nuovi supporti, fino all’apparente immaterialità della digitalizzazione.
L’ Ex Ospedale Psichiatrico Giudiziario di Reggio Emilia ha accolto i corpi di Antoine D’Agata il quale presenta una serie di autoritratti che documentano il rapporto, tattile e corporeo, del fotografo con le sue immagini.
“Piano piano, nel corso degli anni, ho cercato di andare sempre più in fondo in quel mondo oscuro, ho cercato di essere più esigente riguardo al mio modo di fare fotografie, alla mia posizione all’interno del mondo e alle situazioni che fotografo. Cerco di spingermi sempre più a fondo nei rapporti con le persone che fotografo, a volte si tratta di relazioni molto intime fisiche e sessuali allo stesso tempo il mio lavoro è un tentativo disperato di guardare a quegli spazi della società dei quali ci siamo dimenticati e che non guardiamo più.”
Lo schema dell’artista è sempre il medesimo: “Strutturo un percorso fisico e psichico oscurato dal rischio, dal caso, dal desiderio e dall’inconscio in una frenetica ricerca della sensazione di sentirmi vivo, essere parte della vita ed appartenere ad essa. La mia ispirazione, se tale si può chiamare, viene dalle mie dipendenze, dalla mia rabbia, dai miei desideri, dalle mie disperazioni, viene da una posizione molto genuina all’interno del mondo nel quale vivo. Le controversie sull’immoralità delle mie fotografie penso che siano false problematiche, si fermano alla nudità, alla violenza ma tutta la violenza che viene mostrata è necessaria, mostro una reazione alla brutalità istituzionale. Ho visto persone la cui vita è una risposta all’oppressione politica ed economica, tutta la violenza che mostro non è gratuita, è la reazione sana al mondo nel quale viviamo. Ovviamente penso al mio lavoro ma non troppo, voglio essere il più pazzo e puro e intenso possibile, cerco di ricavare il meglio dalla mia vita e cerco di essere ovunque nel mondo nel quale vivo. Non voglio accettare compromessi, non voglio arrendermi davanti a niente e a nessun livello. Voglio tutto questo. “
E così l’arte dunque è sublimazione, elaborazione del trauma che genera un elemento concreto, il prodotto artistico, che una volta offerto alla comunità diventa cultura, oggetto di pensiero, comunicazione, qualunque sia il seme natale.
Antoine D’Agata fotografa per smascherare il mondo, attraversa ed è attraversato dalle esperienze il cui denominatore comune è l’eccesso per arrivare alla forma più pura e incorrotta dell’immagine ultima. Il corpo si fa veicolo per la catarsi dell’anima, il carburate è l’impeto, un moto incontenibile di determinazione attraverso un viaggio lisergico che oltrepassa le contraddizioni della fotografia di documentazione mantenendo l’aspetto animalesco che alcune sue figure assumono.
La deformazione delle forme e della materia ha lo scopo di cogliere non tanto o non solo il corpo in sé, ma l’essere vivo di questo corpo, la sua energia, il movimento, la vita che scardina la rappresentazione, sconvolgendola dall’interno e riscrivendola. Le fotografie di Antoine D’Agata esprimono la rottura del distacco fisico con il corpo che si fotografa attuando un percorso sensoriale, arrivando materialmente a contatto attraverso odori, sapori, e provocando in sè una reazione fisica.
Sogno e realtà, incubo visionario e percezione del mondo, angoscia e sessualità, poetica del corpo e delirio incontrollato della mente, solitudine e condivisione carnale del piacere, dolore esistenziale ed erotismo vitale: sono tutti dualismi presenti nell’arte di Antoine D’Agata, che rendono la fotografia di questo autore estremamente complessa e capace di rivelare al fruitore la propria condizione di individuo sofferente e perso in un nulla artificiosamente costruito dall’uomo per negare il vuoto che lo circonda.
Benedetta Incerti
Foto dalla mostra SITUATIONS, Ex Ospedale Psichiatrico Giudiziario Reggio Emilia, 30 aprile – 8 giugno 2008
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Art Ad.Virus è un progetto nato e ideato con la congiunzione di diversi eventi più o meno inaspettati: l’evolversi della pandemia da Covid, il sopravvivere della cultura (e dell’arte) nel mezzo di questa e l’elezione di Parma (e anche Reggio Emilia e Piacenza) come Capitale Italiana della Cultura 2020+2021. Di fronte a questa situazione, abbiamo capito quanto fosse importante che la cultura non restasse al suo posto, ma uscisse dai luoghi a questa deputati, chiusi per il lockdown; abbiamo quindi scelto alcune tematiche che si susseguiranno con scadenza mensile, ognuna delle quali approfondita in relazione ai diversi ambiti dell’arte figurativa: pittura scultura, archeologia, performances, cinema e tanti altri. Perché questo nome? Ci siamo ispirati alla figura lavorativa dell’Art Advisor, a cui abbiamo preferito sostituire parte del nome con un termine attualissimo: virus. È in realtà un augurio: di farci contagiare inaspettatamente dall’arte e dalla cultura che Reggio Emilia e il suo territorio offrono.
Art Ad.Virus è un progetto a cura di Martina Ciconte, Chiara Eboli, Benedetta Incerti, Maria Chiara Mastroianni, Lorenzo Zanchin del Servizio civile volontario