Stefano Lodesani, architetto (1973)
Nato a Reggio Emilia, Stefano Lodesani, dopo aver conseguito la laurea in architettura al Politecnico di Milano, si è trasferito in California, a San Francisco, per approfondire gli studi alla CCAC (California College of Artand Craft) ed alla Berkeley University.
Nel 2010 ha fondato a Reggio Emilia il suo studio di architettura che si occupa di progetti per l’allestimento di spazi commerciali, showroom, uffici e residenze private in tutto il mondo. Oltre che per l’architettura, coltiva la passione per il design e la grafica, disegnando la maggior parte degli arredi inseriti nei suoi progetti e realizzando l’immagine coordinata di diverse aziende.
Nel 2017 ha curato il progetto di allestimento della mostra “Confessionali” di Michael Kenna, nell’Oratorio di San Spiridione a Reggio Emilia. Recentemente si è avvicinato anche all’industrial design e con il suo lavoro è stato pubblicato sull’ADI Design Index del 2017 ed è stato selezionato tra i finalisti per il prestigioso premio Compasso d’Oro 2018.
Curiosità, armonia, etica, creatività, ricerca costante e conoscenza dei materiali sono valori e insieme fonte di ispirazione per lui e il suo team.
Stefano Lodesani Studio si è occupato del progetto museografico per l’allestimento della mostra Antonio Fontanesi e la sua eredità. Da Pellizza da Volpedo a Burri (a cura di Virginia Bertone, Elisabetta Farioli, Claudio Spadoni, a Palazzo dei Musei di Reggio Emilia fino al prossimo 14 luglio) con la quale i Musei Civici di Reggio Emilia hanno voluto celebrare il grande artista reggiano in occasione del bicentenario della sua nascita. Gli abbiamo chiesto così di illustrarci quali sono stati i passaggi che hanno portato alla realizzazione di questo progetto per conoscerlo direttamente dalle parole di chi gli ha dato forma.
Quando un percorso espositivo diviene paesaggio: come avete scelto di rappresentare visivamente i molteplici aspetti della mostra?
A partire dall’analisi delle opere, l’esposizione ideata per la mostra “Antonio Fontanesi e la sua eredità. Da Pellizza da Volpedo a Burri” riprende i temi sensibili del maestro dell’Ottocento e le ambientazioni dell’epoca per un’esperienza museale profonda.
L’esposizione ha come tema Fontanesi e l’influenza del suo lavoro nella visione del paesaggio nell’arte. L’allestimento progettato è stato concepito per esprimere questo tema, sviluppandolo attraverso due poli concettuali dell’opera di Antonio Fontanesi: il binomio antico-moderno e la dimensione di introspezione psicologica del paesaggio.
Una prima sintesi della tensione fra questi due poli è di tipo cromatico. La scelta è stata quella di utilizzare per l’allestimento della mostra solo colori naturali, derivandoli proprio dalla tavolozza dell’artista reggiano. Un verde scuro emblema della natura e richiamo al gusto ottocentesco di dipingere le pareti delle case con colori molto intensi, è infatti dominante in tutto l’allestimento.
Una seconda sintesi, di tipo stilistico, si esprime attraverso le scelte di illuminazione delle stanze e dei dipinti in mostra. Una scelta tecnica che vede alternare faretti led museali orientabili a una soluzione con led a soffitto per ottenere la luce perfetta anche nelle stanze con altezze ribassate, lasciando pieno protagonismo alle opere e migliorandone la percezione.
Nell’intento di realizzare una mostra secondo un linguaggio espositivo contemporaneo improntato all’empatia, l’allestimento coinvolge fisicamente il visitatore in un contatto con la dimensione più intima e attuale della pittura di Antonio Fontanesi in linea con il suo modo di educare al “vero” e alla sua interpretazione personale della natura.
La matrice principale della mostra è proprio il tentativo di creare un parallelo tra la percorso artistico di Fontanesi nell’arco della sua vita e dopo la sua morte. In che modo queste due linee narrative dialogano, all’interno delle sezioni della mostra?
La mostra si suddivide in cinque sezioni principali e due collaterali. Dal portale al primo piano, in cui troviamo una gigantografia a parete di un particolare de La solitudine e un video che racconta il percorso espositivo attraverso la voce dei curatori, saliamo le scale ed entriamo nel vivo della mostra.
“L’ora più buia” rappresenta la stanza centrale di tutta la concezione progettuale della mostra, interpretata come bosco e luogo di attraversamento obbligato tra una sezione e l’altra, una «foresta di simboli» di concezione baudelairiana.
Ambienti con luce soffusa, grandi tende ad arco che separano le diverse sezioni alternando parti luminose a parti in ombra e pareti verde bosco che rievocano paesaggi naturali, ne sono gli elementi caratterizzanti. Non a caso qui troviamo il testamento pittorico di Fontanesi, Le nubi, il cui cielo diventa assoluto protagonista, che accoglie il visitatore e ne cattura l’attenzione ogni volta che riattraversa questa stanza.
La seconda sezione, “L’alba di Fontanesi”, è dedicata al recupero filologico delle opere di Fontanesi esposte alla Biennale di Venezia del 1901 ed è quella che racchiude la maggior parte dei dipinti del pittore reggiano.
Lo spettatore, volgendo le spalle alla parete di fondo, si trova di fronte a una serie si stanze passanti, segnate dalle aperture delle tende verdi che le separano una dall’altra, evocazione da una parte della struttura antica delle abitazioni, prive di corridoi e costituite da stanze contigue, ma soprattutto dei passages benjaminiani, emblema della libera associazione delle idee e della eterogeneità delle tradizioni ben espresse dalla ricchezza dei rimandi di questa mostra, da quelli alla pittura simbolista fino all’informale.
Anche in questo caso lo studio delle luci è stato oggetto di un’accurata ricerca sia per quanto concerne la scelta dei corpi illuminanti che per il loro posizionamento. L’angolo di apertura è stato di volta in volta calibrato sulla base delle dimensioni delle opere e della loro distanza dalla fonte luminosa, permettendo una perfetta illuminazione dei quadri e dinamizzando la continuità spaziale attraverso un ritmo ordinato di chiaroscuri.
“La scienza del colore” costituisce la terza sezione, dedicata al rapporto della pittura simbolista e divisionista con l’opera di Fontanesi. Anche in questo caso ritorna l’idea del bosco. I colori della stanza sono naturali: verde sulle pareti, salvia per le pannellature a sfondo dei dipinti degli altri autori.
In fondo alla stanza si trova il dipinto Novembre, davanti al quale è collocata una seduta per la contemplazione dell’opera. Come in una cattedrale l’opera si trova in un’abside, creata con un tendaggio di velluto verde, che nasconde i supporti del dipinto che lo sostengono. La tenda è dello stesso verde bosco che distingue le opere di Fontanesi da quelle degli altri artisti. Anche qui, il colore acquista così il valore di guida inconsapevole per il visitatore.
Nella quarta sezione, dedicata alla riscoperta di Fontanesi negli anni Venti, si è voluto dar corpo all’idea di un approccio critico all’opera del pittore. Il suo dipinto Il mulino è applicato su un pannello a sbalzo con lo sfondo verde. Sempre nella stessa ottica di studio e di un rapporto critico con quell’opera, gli altri dipinti esposti in questa sezione sono disposti su pareti salvia.
La quinta sezione, dal punto di vista progettuale, ha posto alcune limitazioni dovute alle diverse altezze del soffitto. Abbiamo operato nell’intento di superare questi vincoli, mantenendo l’armonia visiva soprattutto a livello illuminotecnico. “Una eredità romantica”, questo il nome della parte finale della mostra, ospita dipinti della Biennale di Venezia del 1952 e dipinti di artisti quali Morlotti, Moreni, Mandelli e Burri che Francesco Arcangeli individua lungo una linea di continuità tra arte moderna e grande tradizione ottocentesca mantenendo un «contatto, non soltanto dell’occhio, ma di tutto l’essere, con la consistenza della natura». Anche in questo caso coerentemente con le scelte cromatiche della mostra, tutte le opere sono su sfondo verde salvia mentre il richiamo all’arte di Fontanesi è rappresentata dalla presenza del verde scuro nelle didascalie della sezione.
Oltre a queste sezioni ve ne sono due collaterali in cui, tramite grafiche curate dallo Studio MZDS di Cesena, le grandi teche sono state trasformate in Lighting box con pannelli informativi retroilluminati, di grande effetto spaziale.
Che tipo di sfida rappresenta, dal punto di vista progettuale e tecnico, una mostra come questa?
Se il colore rappresenta uno degli elementi fondamentali di questo progetto, l’illuminazione ne è sicuramente il suo complemento. Sono stati scelti corpi illuminanti e soluzioni tecniche ottimali rispettando i limiti architettonici e il concept creativo della mostra.
Realizzare un allestimento espositivo per questo grande Maestro della pittura è stato un grande onore e una grande responsabilità, sia per l’importanza della mostra che per l’amore che nutro nei confronti della mia città. Siamo partiti da un’analisi dettagliata della sua opera e abbiamo cercato una traduzione il più possibile fedele non solo all’espressione artistica ma anche al sentire di Antonio Fontanesi, misurandoci con la materia, gli spazi e i tempi che hanno rappresentato certo il limite, ma anche lo stimolo per ricercare gli strumenti e le tecnologie più adeguate.
a cura di Georgia Cantoni
Responsabile comunicazione
Musei Civici di Reggio Emilia