Il capodoglio dei Musei Civici reggiani torna simbolicamente sulla spiaggia di Marzocca di Senigallia dove venne trovato nel 1938
Il capodoglio del nostro Palazzo dei Musei, divenuto icona nell’immaginario di molte generazioni di reggiani, sarà protagonista venerdì 18 luglio di una lunga kermesse di dodici ore, con inizio alle ore 18, organizzata a Marzocca di Senigallia (Ancona), per raccontare la meravigliosa storia del cetaceo che il 10 aprile 1938 si arenò sulla spiaggia nei pressi di Senigallia e che poi venne trasportato a Reggio Emilia, imbalsamato e collocato nella collezione “Spallanzani”. Di quella storia antica quanto sconosciuta si parlerà proprio su quella spiaggia della costa adriatica, nell’iniziativa promossa nell’ambito del programma di “Demanio Marittimo.KM-278” (Lungomare Italia 11- Marzocca di Senigallia), con Elisabetta Farioli (direttore dei Civici Musei di Reggio Emilia), l’architetto Italo Rota (ideatore del progetto di ristrutturazione di Palazzo San Francesco, sede dei Musei reggiani) e lo scrittore Ermanno Cavazzoni (protagonista di un suggestivo contrappunto narrativo in forma di spettacolo ispirato al suo libro “Guida agli animali fantastici”), accompagnato dalle performance vocali e musicali di Vincenzo Vasi e Valeria Sturba.
La storia
Il 10 aprile 1938 il capodoglio, insieme a cinque più grandi compagni, si arenò sulla spiaggia adriatica proprio a Marzocca, nei pressi di Senigallia. Pur dibattendosi nel tentativo di riprendere il mare i cetacei finirono uno ad uno per morire e, recuperati da una cooperativa di pescatori locali, furono utilizzati per ricavarne olio. Solo il più piccolo, un esemplare di circa otto mesi, lungo più di sette metri e del peso di 39,70 quintali, fu caricato su un camion allo scopo di essere esibito per le piazze come “Mostro marino”. L’iniziativa fruttò alla cooperativa, secondo i giornali dell’epoca, “valigie di quattrini”. L’idea di questa esibizione pubblica, tuttavia, non è così strana e particolare come sembra: la balena imbalsamata più famosa di tutte è quella chiamata Goliath, catturata in Norvegia a metà degli anni Cinquanta, conservata sotto formalina, che è stata trasportata in un container e mostrata nelle piazze di tutta Europa per almeno vent’anni. Il capodoglio di Marzocca, non “tassidermizzato”, venne caricato su un camion ed iniziò il suo tour espositivo, ma una volta giunto a Reggio Emilia, ormai in stato avanzato di decomposizione, provocò le proteste dei cittadini per il notevole fetore, al punto tale da far pensare ad una sua distruzione. Il tecnico tassidermista dei musei reggiani di allora, Socrate Gambetti, propose quindi all’amministrazione comunale di acquisire il reperto e di realizzare la sua imbalsamazione. Il preventivo di spesa che venne approvato prevedeva un acquisto di notevole entità: kg 12 di anidride arseniosa in polvere, kg 7 di carbonato di potassa, kg 4 di canfora sintetica, kg 10 di formalina liquida, litri 10 di alcol denaturato, kg 3 di creosoto del faggio, kg 3 di essenza di betulla, kg 3 di sublimato corrosivo, kg 15 di sapone di Marsiglia, 10 kg di potassa caustica, un’armatura in legno e ferro, materiali vegetali per imbottitura (tra cui “paglia di riso”, “paglia di trucciolo” e “paglietta fine”), mastici diversi, colori, vernici. L’impresa, condotta dal Gambetti in collaborazione con gli addetti del macello comunale, fu impegnativa e richiese ben 18 mesi di lavoro. Alcune parti, già danneggiate dalla decomposizione, dovettero essere ricostruite, mentre la difficoltà di conservazione della pelle spessa e oleosa e il desiderio di riprodurne la naturale brillantezza resero necessario spalmare sul corpo materiali diversi, come pece greca e catrame. Per consentire il passaggio negli stretti spazi museali la coda venne modellata con una innaturale curvatura. Il 15 aprile 1939 una delegazione di scienziati di vari paesi europei, giunti per visitare il museo con i reperti di Spallanzani e guidati da Vinassa de Regny, rettore dell’Università di Pavia, ebbe modo di ammirare quella singolare preparazione, inserita all’interno di una delle più antiche collezioni di scienze naturali conservate in Italia, acquisita da Reggio Emilia nel 1799 e poi dal 1830 collocata nell’attuale sede, l’antico convento di San Francesco. Proprio nella collezione “Spallanzani” è possibile trovare una singolare coincidenza, in una immagine tratta da una grande composizione a collage tratta da un volume di scienze naturali del Settecento che con grande disinvoltura e gusto per l’accrochage lo stesso scienziato scandianese aveva realizzato per la sua esposizione: la rappresentazione dello spiaggiamento di una grande balena.