Frammento di cratere a figure rosse di provenienza attica, dal pozzo del settore centrale del sito etrusco di Servirola (San Polo d’Enza).
Un satiro ebbro, simbolo della forza fecondatrice della natura, insegue con un otre pieno di vino sulle spalle una menade sfuggente. Scene di questo tipo ricorrono frequentemente nell’arte vascolare greca. Parte del thiasos, questi personaggi sono spesso raffigurati assieme ai sileni e alle ninfe mentre accompagnano allegramente Dioniso in cortei durante i quali si lasciano andare a danze e canti. Talvolta li vediamo impegnati in approcci di tipo erotico, con satiri villosi che rincorrono menadi nel tentativo di un contatto sessuale, o in danze orgiastiche, alludendo ad una sorta di “felicità dionisiaca” che è anche “felicità erotica”.
L’erotismo associato alla sfera religiosa è una costante in antichità: diverse divinità, sia greche che romane, sono specificamente legate all’esigenza di propiziare fertilità ed è quindi naturale ritrovare nell’iconografia cultuale simboli fallici o forme di ritualità orgiastica, tipiche soprattutto del dionisismo; divinità come Afrodite ed Eros, connesse all’ambito del godimento sessuale, sono spesso coinvolte in scene mitologiche di fornicazione, adulterio e sodomia.
Il fatto che parte consistente di queste immagini sia riconducibile alla religione non è però necessariamente indice di una libertà sessuale anarchica; al contrario vi erano delle regole ben precise da seguire. Poniamo un esempio: la rappresentazione di scene di uomini barbuti (adulti) nell’atto di un approccio nei confronti di uomini sbarbati (giovani), ha generato nel pensiero contemporaneo collettivo un luogo comune sulla disinibizione greca, associata frequentemente alla libertà di esprimere la propria sessualità. Ma era veramente così nella realtà? Spesso si parla di omosessualità nell’antica Grecia sottintendendo erroneamente una forma di libertà nella scelta di chi amare e ci si dimentica di come lo sviluppo sessuale dell’individuo seguisse delle tappe istituzionalizzate, scandite e regolamentate all’interno di un complesso sistema pedagogico (pederastia) che prevedeva la formazione dell’individuo sotto molteplici aspetti: non solo sessuale ma anche etico-culturale.
Lo sviluppo dei giovani aveva inizio nel ginnasio, dove trascorrevano la maggior parte del proprio tempo per migliorare le proprie qualità fisiche e morali. Ogni eròmenos (l’amato) veniva poi affidato ad un erastès (l’amante) che si occupava della sua educazione e che gli trasmetteva quei valori di virtù e sapere che avrebbero consentito all’adolescente di diventare un perfetto cittadino adulto inserito nella polis e di sposarsi con una donna. Questo tipo di educazione riguardava anche la sfera femminile: le fanciulle prendevano parte ai gruppi corali o alle cerchie private (la più nota è quella di Saffo) al fine di acquisire tutte le qualità che erano normalmente richieste alla donna (grazia e bellezza) e che servivano a suscitare l’interesse dell’uomo. Al termine di questo periodo venivano avviate al matrimonio eterosessuale, unica forma di unione legittimamente consentita al di fuori di tale sistema pedagogico.
Nonostante ciò, è comunque innegabile che gli antichi greci fossero meno disinibiti nell’uso della sessualità in relazione ai culti e alle rappresentazioni artistiche, poiché estranei alla censura, alla vergogna e al senso di colpa nati solo in seguito con il cristianesimo. Questa censura si è manifestata e si manifesta tuttora anche nello studio della materia: in passato i manufatti con scene e motivi erotici venivano classificati come “osceni” e ancora oggi risulta problematico approcciarvisi per motivi di ricerca scientifica. Etichettare come indecenti immagini ed oggetti legati a rituali religiosi o alla sfera della prosperità e della buona sorte (ad esempio amuleti a forma di genitali), risulta estremamente limitativo e improprio.
Martina Ciconte
Maria Chiara Mastroianni
BIBLIOGRAFIA
C. CALAME, L’amore in Grecia, Bari, 1983
E. PELLEGRINI, Eros nella Grecia arcaica e classica, iconografia e iconologia, Roma, 2009
C. JOHNS, L’eros nell’arte antica, sesso o simbolo?, Roma, 1992
F. BARONE, Educazione e pederastia nell’Atene di Platone, in Pedagogia e vita, 3-4, pp. 156-172, 2009
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Art Ad.Virus è un progetto nato e ideato con la congiunzione di diversi eventi più o meno inaspettati: l’evolversi della pandemia da Covid, il sopravvivere della cultura (e dell’arte) nel mezzo di questa e l’elezione di Parma (e anche Reggio Emilia e Piacenza) come Capitale Italiana della Cultura 2020+2021. Di fronte a questa situazione, abbiamo capito quanto fosse importante che la cultura non restasse al suo posto, ma uscisse dai luoghi a questa deputati, chiusi per il lockdown; abbiamo quindi scelto alcune tematiche che si susseguiranno con scadenza mensile, ognuna delle quali approfondita in relazione ai diversi ambiti dell’arte figurativa: pittura scultura, archeologia, performances, cinema e tanti altri. Perché questo nome? Ci siamo ispirati alla figura lavorativa dell’Art Advisor, a cui abbiamo preferito sostituire parte del nome con un termine attualissimo: virus. È in realtà un augurio: di farci contagiare inaspettatamente dall’arte e dalla cultura che Reggio Emilia e il suo territorio offrono.
Art Ad.Virus è un progetto a cura di Martina Ciconte, Chiara Eboli, Benedetta Incerti, Maria Chiara Mastroianni, Lorenzo Zanchin del Servizio civile volontario