Braciere tipo “Hibachi” (1905)
All’inizio del ventesimo secolo il Giappone era divenuto un paese profondamente differente da quello che Antonio Fontanesi, Prospero Ferretti e gli altri “Oyatoi Gaikokujin” avevano conosciuto a metà Ottocento. Anche grazie al loro contributo, in poco più di cinquant’anni il paese si era trasformato da un’arretrata società feudale ad una giovane potenza industriale e militare moderna, capace oramai di rivaleggiare come pari con Europa e Stati Uniti.
Il Giappone del tardo periodo Meiji non correva quindi più il rischio divenire una colonia dell’Occidente, ma il crescente bisogno di risorse per sostenere il suo rapido sviluppo industriale su modello europeo fece comprendere al nuovo governo che, per sopravvivere, la nazione avrebbe dovuto divenire essa stessa colonizzatrice.
Il Giappone Meiji, in parole povere, aveva bisogno del suo “Posto in Asia”.
A farne le spese sarebbero state la Corea e sopratutto la decadente Cina della dinastia Qing (1644-1911). Considerata per secoli come un modello di civiltà e cultura, la Cina diventava ora per il Giappone occidentalizzato un appetitoso boccone per i suoi appetiti coloniali.
Dopo aver avuto facilmente ragione delle indisciplinate forze Qing nella Prima Guerra Sino-Giapponese (1894-1895) il governo Meiji ottenne l’isola di Taiwan, la Penisola del Liadong e le Isole Penghu come suoi primi possedimenti oltremare.
Nei dieci anni successivi alla vittoria, il Giappone iniziò ad estendere le proprie mire anche verso la Manciuria, trovando tuttavia nella Russia il suo principale “competitor”. Lo Zar Nicola II considerava difatti la Manciuria, e in particolare la baia di Porth Arthur (oggi nell’attuale distretto cinese di Lüshunkou), come uno strategico sbocco sui mari dell’Asia che non avrebbe ceduto facilmente.
La notte dell’otto Febbraio 1904 la flotta agli ordini dell’ammiraglio Tōgō Heihachirō, già eroe del conflitto contro i Qing, bloccò il porto della città dando così inizio alle prime fasi della Guerra Russo-Giapponese (1904-1905).
Dopo due anni di cruenti scontri combattuti a colpi di mitragliatrice, artiglieria e cariche alla baionetta, la Flotta Combinata giapponese dell’Ammiraglio Tōgō inflisse il colpo di grazia alle forze zariste affondando completamente la Flotta del Baltico nella Battaglia di Tsushima del Maggio 1905.
La schiacciante vittoria nipponica sul nemico europeo fece rapidamente il giro del globo, scioccando coloro che avevano dato per scontato il trionfo di un grande “Impero Bianco” sulle forze delle primitive “Scimmie” asiatiche. Ai primi titoli dei giornali fecero eco le parole del giornalista e scrittore Jack London, inviato di guerra in Manciuria, che al ritorno in America avvertì i compatrioti del “Pericolo Giallo” che ora incombeva sugli interessi occidentali in Asia e nel Pacifico.
Così come testimonia l’iscrizione di questo braciere hibachi “In ricordo del successo dell’attacco Meiji alla Russia, provincia di Musashi, paese di Mitagaya, Fedeltà alla Restaurazione, Armi per la Restaurazione” la vittoria a Tsushima venne considerata dal Giappone la prova del raggiungimento delle priorità del periodo Meiji: “Paese Ricco, Esercito Forte”.
Mentre l’Ammiraglio Tōgō Heihachirō raggiungeva uno status semi-leggendario in patria, lo smacco subito dallo Zar fece crollare il morale della marina russa, contribuendo allo scoppio di ammutinamenti come quello della celebre corazzata Potemkin e aumentò il già notevole malcontento della popolazione nei confronti della monarchia.
Le bandiere del rosso Sol Levante sventolate nella vittoriosa Tōkyō dell’Imperatore Meiji, avrebbero così contribuito a far garrire al vento quelle della Rivoluzione nella Mosca dello Zar di tutte le Russie qualche anno dopo.