Pannello Nanban

Pannello Nanban

Nel 1542 sull’isola di Tanegashima, a Sud Ovest dell’attuale Kyūshū dove oggi si trovano le rampe di lancio del programma spaziale giapponese, avvenne casualmente il primo “Incontro ravvicinato del terzo tipo” tra due civiltà sino ad allora aliene: quella nipponica e quella europea. Un gruppo di mercanti portoghesi naufragati sull’isola si trovò improvvisamente circondato da feroci samurai e uno di loro, imbracciato l’archibugio, sparò uccidendo sul colpo uno dei guerrieri. Invece di ritorcersi loro contro, questa azione fu l’inizio di un lungo e lucroso rapporto commerciale tra l’Europa e il Giappone.

In cambio della tecnologia delle armi da fuoco (ribattezzate Tanegashima in onore di quel primo incontro), di grande interesse per i vari regni perennemente in guerra in cui era diviso il Giappone della Sengoku Jidai (“L’Età dei Regni Combattenti”), agli occidentali venne concesso di commerciare nei porti ed ai missionari europei di diffondere il la fede cristiana. Poiché le loro grandi navi giungevano dal Sud Est asiatico, dove la corona portoghese aveva importanti basi coloniali come la città indiana di Goa, i giapponesi ribattezzarono gli europei Nanbanjin o “Barbari del Sud”, prendendo a prestito un termine già utilizzato in Cina. Osservando il grande pannello Nanban esposto a Palazzo dei Musei di Reggio Emilia, originariamente utilizzato come paravento e realizzato ad inchiostro, colori e largo uso di foglia dorata su carta, si può ben capire come gli europei di allora dovessero apparire agli occhi dei giapponesi. Vestiti di nero, con calzoncini a sbuffo, casacche attillate e grandi cappelli neri sopra i loro volti da cui spiccano un lungo naso e dei grandi occhi, i mercanti portoghesi assistono sul ponte della loro grande nave uno spettacolo di danza in loro onore. Altri passano il tempo suonando lo shamisen (uno strumento simile al liuto) o giocando a carte e a Go, una sorta di dama orientale, mentre qua e là uomini dalla pelle scura, probabilmente africani, indiani o gente del Sud Est asiatico al loro servizio, si affrettano a governare l’imbarcazione. Così come rapidi furono ad appropriarsi delle armi da fuoco i giapponesi, ammirando le grandi navi europee che solcavano agilmente gli oceani, si dettero presto da fare per modificare le proprie flotte commerciali sul modello occidentale per ritagliarsi una “quota di mercato” dei commerci nei mari dell’Asia.
Grandi famiglie mercantili come i Sueyoshi di Osaka e i Suminokura di Kyōto ottennero così dal governo lo Shūin o “Sigillo Rosso”, che nel pannello vediamo sventolare in cima all’albero. Concedere questo simbolo era un modo per le autorità dell’epoca di controllare direttamente i commerci con l’Asia e proteggerli dai pirati che all’epoca dilagavano nelle acque tra la Cina e il Giappone.
La nave rappresentata nel paravento fa parte di questa categoria. Lo scafo, pur mantenendo la struttura squadrata tipica delle imbarcazioni asiatiche, presenta tuttavia una forma più slanciata ed un ponte più largo per meglio sopportare i rigori del mare aperto. Sopra alle vele quadrate di foggia cinese, ne possiamo trovare altrettante di forma triangolare ispirate a quelle dei galeoni occidentali e più adatte a catturare il vento durante le lunghe traversate.
Il pannello della collezione Parmeggiani è la copia di un originale conservato presso il tempio di Kiyomizu a Kyōto e donato all’istituzione templare dalla famiglia Suminokura come ex voto per la protezione ricevuta durante un viaggio d’affari avvenuto nel 1634.
Rappresentare gli occidentali su una nave commerciale giapponese era considerato simbolo di buon augurio per gli affari, poiché l’arrivo delle prime grandi Takarabune (“Navi del tesoro”) dei “Barbari del Sud” aveva significato per i giapponesi del ‘500 opportunità di proficui scambi commerciali. Non a caso a Ebisu, uno degli Shichifukujin (I Sette dei della Fortuna), i giapponesi finirono col dare le fattezze di un europeo.
Nel 1635, a seguito della chiusura completa del Giappone verso l’esterno ordinata dallo Shōgun Tokugawa Iemitsu, le compagnie del Sigillo Rosso vennero sciolte e tutti gli europei espulsi dal paese. Con la sola eccezione della piccola isola di Dejima a Nagasaki, aperta col contagocce a olandesi e inglesi, le navi europee sarebbero potute tornare sulle coste giapponesi solo nel 1854, trasportando non più spezie e tessuti, bensì le più inquietanti sagome dei cannoni americani.