San Lazzaro prima del manicomio

Tra le oreficerie dei Musei Civici è conservato un calice, di fattura goticheggiante, che reca la data 1420 e la scritta “questo calice è di San Lazzaro”. Nel Medioevo i “diversi” (eretici, vagabondi, esclusi, giullari, ebrei, deformi, lebbrosi, pazzi etc.) formano l’ambigua “famiglia del diavolo”. La società medievale ha, nei loro confronti, un atteggiamento ambivalente: ne ha paura ma se ne sente attratta. Li tiene a distanza ma ha bisogno di questi paria perché da un lato con le loro evidenti disgrazie rammentano la presenza del male, dall’altro, attraverso le cure che loro presta, si forma una buona coscienza. Questi complessi sentimenti giustificano la nascita, nel 1217, del lebbrosario dedicato a S. Lazzaro. Fuori dalla città ma vicino ad essa, lungo la via Emilia. L’ospizio vive di carità, ha un proprio rettore nominato dal Vescovo, le più importanti decisioni vengono però prese in accordo con gli infermi. Un documento riporta testualmente “Il Rettore insieme con gli infermi e gli infermi col Rettore ebbero a decidere in più e più riunioni”. Un vero e proprio regime di autogestione. Una comunità separata con regole proprie. All’interno del lebbrosario si vive in una società non gerarchizzata, da “corte dei miracoli”, ove ci si concede licenze altrove vietate.
Nel 1435 ci si lamenta che gli infermi “giocano d’azzardo giorno e notte…gli uomini e le donne vivono promiscuamente con comportamenti turpi e disonesti”.
Nel 1455 l’ospizio passa sotto la tutela del Comune. La carità é sostituita dall’assistenza e con l’assistenza giungono le regole e le mura. Entro questa mura un numero sempre maggiore di “pazzerelli” prende il posto dei precedenti ospiti. Nel 1755 il duca Francesco III d’Este decreta che l’ospizio dovesse accogliere solamente “insani di mente”. (A. M.)
DOVE: Galleria Fontanesi