Dantista ciclista prima di Benigni

Bastone Ferrari

Negli anni in cui il Duce conquistava un effimero “impero” e si combatteva per la civiltà occidentale in Spagna, un inconsueto “personaggio minore” percorreva in lungo e in largo, in sella alla sua bicicletta e col suo bastone istoriato a tracolla, le strade e le piazze d’Italia.
Giacomo (Nino) Ferrari, secondo di undici figli nati da un’umilissima famiglia bracciantile, frequentò le primissime classi elementari, poi, come molti ragazzi di quegli anni, andò a lavorare “a chiamata” sia in edilizia come manovale, sia in agricoltura come bracciante, sia nei lavori di sterro della bonifica come scariolante. Il lavoro faticoso, la malnutrizione, gli stenti, provocarono in lui, attorno ai trent’anni, il sorgere della tubercolosi. La lunga degenza in sanatorio, la ancor più lunga convalescenza e le lunghe ore di inattività derivanti lo spinsero ad accostarsi alla lettura della “Divina Commedia”. Il poema di Dante lo folgorò. Memorizzò diverse cantiche soprattutto dell’Inferno.
Non solo, si mise a scolpire su un durissimo tronco di bosso scene e personaggi del poema alternati a terzine incise. Con questo bastone come promemoria visivo iniziò ad intrattenere amici e paesani.
Il successo ottenuto lo spinse a trasformare questa passione in un vero e proprio mestiere. Attraversò tutta l’Italia Centrale e Settentrionale fermandosi sulle piazze e ai mercati a “fare treppo”. Recitava Dante a voce piana, aggiungeva suoi commenti con voce sommessa, spesso umilmente inseriva citazioni autobiografiche. I giornali parlarono di lui, raggiunse una certa notorietà.
Morì a Quattro Castella nel 1937.
La famiglia, per preservare il ricordo di questo originale dantista, consegnò il bastone scolpito al museo. (A.M.)
Dove: For inspiration only, Diorama A