Spada gallica dal monte Valestra, III sec. a.C. Musei Civici di Reggio Emilia. Foto Carlo Vannini
«Non conviene portarsi dietro un simile selvaggio», dici al centurione. «Non diventerebbe un buono schiavo, è troppo pieno di odio verso i Romani. Però si tratta comunque di un ragazzino».
Soppesi per un attimo la questione e poi ordini:«Punitelo severamente e poi lasciatelo andare».
Poco più tardi il ragazzo viene liberato e, nonostante sia dolorante per la punizione, si trascina di fronte a te per guardarti negli occhi. Sei colpito da tanta forza di spirito. «Addio Celtillus» gli dici, affibbiandogli quasi affettuosamente un soprannome che significa ‘piccolo Celta’. Il ragazzo sorride, ma a poco a poco il suo sorriso si trasforma in un ghigno. «Vae victis» ti dice in latino: ‘Guai ai vinti’. Rabbrividisci riconoscendo le parole di Brenno, il capo dei Galli Senoni che molti anni fa ha messo in ginocchio Roma, saccheggiandola. Il ragazzino si volta e fugge via in un lampo. Il centurione Lucio Sempronio Fosco ti si avvicina e ti dice con voce incerta: «Console…non credo sia stata una buona idea lasciarlo andare». Annuisci. No, probabilmente non lo è stata.
Ma in fondo è solo un ragazzino, che problemi potrebbe mai creare alla grande Roma? Non puoi sapere che quel ragazzo compirà un lungo viaggio verso nord-ovest per raggiungere una popolazione gallica ancora libera dal dominio romano, al di là delle Alpi. Non puoi sapere che da lui nascerà una stirpe di temibili guerrieri celtici, né che uno dei suoi discendenti, un suo omonimo, avrà un figlio che sarà il più grande e il più forte capo tribù gallico di tutti i tempi e porterà un nome che i Romani pronunceranno con terrore: Vercingetorige.