Nel febbraio del 1968 la Giunta del sindaco Renzo Bonazzi approvava il programma di rilancio dei Civici Musei, secondo le proposte del nuovo direttore Giancarlo Ambrosetti. Uno dei cardini di questo programma consisteva nell’aprire le collezioni a momenti fino a quel momento non compresi nella politica culturale dei Musei, spezzando i lacci dell’angusto municipalismo entro cui si era operato fino a quel momento. Coerente con questo indirizzo fu la decisione di allestire, in occasione della Settimana della Cultura del 1968, una mostra temporanea sulle preziose produzioni ceramiche del Medioevo persiano. Gli oggetti in esposizione provenivano dalla casa “Arte Persiana” di Roma appartenente ai fratelli Molayem. A conclusione della mostra 27 vasi persiani furono acquistati per le collezioni dei Civici Musei.
Ezram, Albert, David e Mayer Molayem, iraniani di religione ebraica, avevano aperto quello stesso anno una bottega a Roma, nella quale vendevano originariamente oggetti da scavi archeologici in Persia. Nel ’68 delle contestazioni studentesche ebbero l’intuizione di estendere la propria offerta commerciale a sari e foulard di tela indiana, ricercatissimi dagli hippy, che fecero la loro fortuna. Nuovi negozi si aprirono in tutto il centro di Roma, fra cui i mitici “Galleria Borghese” di via di Ripetta e il “Dakota” di via del Corso, fino al tracollo degli anni ’90.
Il nucleo di ceramiche islamiche fu accuratamente selezionato da Giancarlo Ambrosetti, che poteva vantare, come pochi archeologi italiani del suo tempo, grandi conoscenze delle antiche culture del Vicino Oriente. Fra il 1960 e il 1961 aveva infatti partecipato alle missioni di scavo dell’IsMEO (Istituto italiano per il Medio ed Estremo Oriente), allora diretto da Giuseppe Tucci, in Afghanistan, in particolare nel sito di Ghaznah, 145 km da Kabul sulla via per Kandahar. Nell’ottobre del 1966 fu lo stesso re dell’Afghanistan, Mohammed Zahir Shah, a conferirgli un incarico di due anni per scavi e ricerche nel suo paese. Di queste straordinarie esperienze rimangono alcune voci a firma di Ambrosetti nell’Enciclopedia dell’Arte Antica Classica e Orientale. Rimasero anche i solidi suoi rapporti di amicizia con alcuni esponenti della cultura afgana, come il principe archeologo di etnia pashtun Chaibay Moustamandy, di cui Ambrosetti fu testimone in occasione delle nozze italiane. (R.M.)
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