“ROOF” di Matteo Messori
In occasione della 17° edizione della giornata del Contemporaneo sabato 11 dicembre alle 17:00 ha inaugurato presso la Galleria Parmeggiani la mostra ROOF, prima personale dell’artista emiliano Matteo Messori a Reggio Emilia, a cura di Nicola Bigliardi, in collaborazione con i Musei Civici di Reggio Emilia.
Le opere, esposte presso le stanze di Interno 1, dialogheranno con lo spazio come se fossero cadute dal cielo, ispirandosi al concetto di “crisi della presenza” coniato da Ernesto De Martino nel suo libro La fine del mondo. Questo spaesamento forzato si svilupperà all’interno di un progetto espositivo complesso e sperimentale.
Insieme a Nicola Bigliardi, curatore della mostra, Matteo Messori ha selezionato una serie di opere guardando al proprio passato come alla mostra “Antiforma” tenutasi presso la Galleria Ramo a Como del 2018 o a “Status”, inaugurata a Nero La Factory (Pescara) nel 2020, ma allo stesso tempo considerandole organismi in grado di mutare, allestendole come corpi tramortiti eppure proattivi.
La recente perdita del padre ha portato Messori a rivedere il suo lavoro e a produrre un’opera, Ultimo fiato, dedicata a questa scomparsa. Da qui l’idea che il lutto sia come un “tetto sopra la testa” che va in frantumi, condizione chiave che contestualizza tutto il progetto espositivo di ROOF. L’intento della mostra non è citare un momento autobiografico dell’artista ma elogiare i superamenti, esorcizzando quelli che sono i traumi ai quali ogni giorno siamo sottoposti.
Nell’edificio fatto costruire da Luigi Parmeggiani, sarà vivido il dialogo tra le opere e l’ambientazione caratteristica della galleria, luogo carico di aneddoti raccolti e elaborati da Messori nella città in cui è nato e cresciuto.
Matteo Messori nasce a Reggio Emilia nel 1993. Dopo aver concluso a pieni voti l’Accademia di Belle Arti di Bologna ha frequentato a Ferrara, tra il 2018 e il 2019, il master Mestiere Delle Arti indetto dal G.A.E.R.
Attualmente è docente presso l’istituto superiore Turistico Alberghiero Angelo Motti; lavora a Reggio Emilia con studio presso la Falegnameria di famiglia e spesso a Milano per progetti e mostre future.
Orari di apertura
da martedì a giovedì 15.00 – 18.00
venerdì, sabato, domenica e festivi 10.00 – 18.00
lunedì chiuso
A cura di Nicola Bigliardi.
In collaborazione con i Musei Civici di Reggio Emilia
Matteo Messori
ROOF
Galleria Parmeggiani, 11 dicembre 2021 – 27 febbraio 2022
La Galleria Parmeggiani è un luogo pieno di mistero ma anche di ironia; c’è una leggerezza in questa apparente severità ambientale che non riesce a nascondersi, così come spesso non riusciva a scomparire il sorriso sardonico di Parmeggiani sotto quei baffoni. Parafrasando Flaiano, la situazione è grave ma non è seria.
Uno scrigno quell’edificio, ma anche un reliquiario, un luogo di spoglie dotate di poteri, taumaturgiche, enigmatiche. Ma come tutte le reliquie, necessitano di essere prima di tutto credute. E a volte è difficile credere alla Galleria Parmeggiani; c’è troppa ironia in quelle sale.
Ma è proprio in questi spazi ambigui che spesso è possibile recuperare un anelito alla verità; quando tutto è instabile occorre allontanarsi il più possibile dal particolare e rivedere la totalità.
La crisi della presenza di Ernesto de Martino significa questo: lo smarrimento di fronte al reale che si prova quando non ci sono spiegazioni. Qui per l’antropologo nascono le religioni.
Ma Roof di Matteo Messori non è un anelito religioso. Anche l’arte in qualche modo è in grado di rimettere ordine nel mondo, di ricostruire e dare una prospettiva alle cose quando appaiono incomprensibili e sembrano sopraffarci. Per cui si riparte dall’alto, dal “tetto”, per dare un’occhiata in basso e riconoscere le traiettorie, le macrostrutture. Vedere la città e ripensarsi nel ricordo di luoghi e di momenti, mappare la propria memoria: ero lì, sono passato di là.
Da quell’altezza, è possibile anche compiere un gesto radicale: far precipitare le cose, vederle sospese o osservarle mentre si schiantano, come se avessero recuperato un ordine perduto, o una forma che non era possibile prevedere.
In effetti Roof diventa una sorta di anti retrospettiva. Da un lato si tratta di un’antologia di opere degli ultimi anni, dotata di una sua rappresentatività quasi catalografica; dall’altro, alcune opere sono esposte come appunto fossero precipitate dall’alto, e dunque si decostruissero come immagini e si ricostituissero come cose che prendono possesso dell’ambiente, al di là del loro immaginario e della loro rappresentazione.
Interno 1 è il risultato di decenni di utilizzo discontinuo di luoghi dismessi. Una volta appartamento del custode, poi in parte magazzino. Un’ala è rimasta intatta nel suo storicismo eclettico; l’altra ha subito la neutralizzazione della mano di bianco. Sono stanze che mutano paradigma, passando senza mediazioni dalla casa museo alla home gallery.
Sembra non ci sia una sintesi tra gli spazi di risulta e quelli mantenuti nella loro storicità; e in effetti sarebbe complesso realizzare un’esposizione omogenea senza mettere in piena evidenza questo difetto. L’opera di Messori si declina in una serialità, come se ogni porzione di spazio creasse una sorta di episodio: autoconclusivo, eppure legato gli altri. Ogni opera crea una relazione dialettica con la porzione di spazio che decide di occupare, ed una narrativa con tutte le altre opere.
Alcune di queste stanze sono state abitate, e ancora si sente nella qualità dei materiali, nell’aria dell’ambiente. Allo stesso modo, e con maggior forza, si sente la potenza dell’intervento di Messori, che con l’opera Ultimo fiato torna ad abitare questo spazio e a togliergli per qualche istante il sorriso. L’energia sprigionata dai materiali e dall’impronta suggerita tra un prima e un dopo, ci da una certezza sull’opera di Messori: essa ragiona sulla possibilità di rappresentare l’interruzione del tempo, o quantomeno la capacità di sottrarre alcuni segni al suo flusso.
Ci sono eventi che vengono bloccati e poi rappresentati in modo non mimetico ma prettamente simbolico. Dal flusso del tempo sono sottratte le evanescenze, le cose più fragili, che poi divengono monumenti nella pittura e nella terza dimensione. Non c’è in realtà questa distinzione nella sua opera: i dipinti sono oggetti che partecipano alla costruzione dello spazio e che, per la loro minore capacità di mutare di stato, forniscono come un ritmo narrativo agli episodi più rapsodici e violenti, fatti di materiali brutali e di immagini che si ripiegano su loro stesse.
Un pavimento fratturato lascia intravedere una forma; ma ora non è più, ora è il ricordo di una forma o meglio la sensazione di una forma.
Un telo che racconta di episodi violenti, diventa un’antiforma che non nega ma indubbiamente ridiscute la propria iconicità. Esso fornisce una sinuosità organica, inconciliabile eppure complementare ad uno spazio eclettico e pieno di superfetazioni.
Così come le tegole del tetto, che sembrano raccolte in un angolo dopo una calamità. E che invece lanciano verso l’alto la verticalità di un “cielo” fatto di gigli ritagliati nella luce. Alessandro Gazzotti
Le disposizioni non si applicano ai minori di 12 anni e ai soggetti esenti dalla campagna vaccinale.
Rimangono confermate tutte le misure di sicurezza già adottate in precedenza.
L’iniziativa è ad ingresso gratuito e senza obbligo di prenotazione
Info:
0522 456816 Palazzo dei Musei, via Spallanzani, 1
Durante gli orari di apertura della sede.
musei@comune.re.it