Lorenzo Vitturi
El Camino Y nada Mas
Spazio Neutro
Negli ultimi mesi ho incontrato l’opera di Lorenzo Vitturi in diverse occasioni: presso i Musei Civici, nella mostra Trame del visibile c’è una sua opera; a Neutro è esposto un suo lavoro che è l’oggetto di questo scritto e infine a Foto industria, nell’impegnativa cornice di Palazzo Pepoli Campogrande a Bologna c’è la sua installazione frutto di una residenza d’artista in Nigeria.
Proverò a mettere per iscritto un pensiero che ho elaborato sulla sua opera, restringendo il campo alla bella iniziativa di Neutro, spazio che stupisce ogni volta per la qualità della proposta. Ma prima, una rapida premessa.
Lorenzo Vitturi. El Camino Y nada Mas (2021), Spazio Neutro
La prima cosa che ho pensato vedendo il suo lavoro, senza ancora sapere nulla della sua prosopopea autobiografica, è che ci fosse un elemento perturbante in tutto quell’apparentemente solare fascino cromatico e materico; l’inserimento di un lessico di fisicità informe nella realtà, come la bambola di Hans Bellmer. Nella mostra dei Musei Civici, ad esempio, la composizione tridimensionale si relaziona con la composizione immaginata nelle fotografie. Si badi: non è la stessa composizione, non è lo stesso oggetto. Si tratta dunque di un rapporto metamorfico che occupa una porzione di spazio, territorio di azioni e passioni, di esperienza fisica: il grumo di materia è un elemento relazionale, è un agonista, che provoca e include lo spettatore come elemento attivo della narrazione. Vitturi nasce scenografo; non è un automatismo naturalmente, ma è interessante pensare che lo spazio della mise an scene sia particolarmente importante per lui; e immagino che non sia casuale che quando metto i piedi all’interno di quello spazio io in qualche modo venga investito di qualche ruolo.
Nel caso specifico dell’opera di Neutro, El camino Y nada mas, il viaggio è sostanziato da una sequenza di immagini contenute all’interno di teche, ognuna delle quali possiede una propria autonomia. Le tappe di un percorso, non per forza lineari, ma comunque sequenziali. Si tratta di una cronologia? Io credo di no. Credo che la sequenza debba essere vista come un tutt’uno, che l’opera si sia adeguata allo spazio, e che il suo lavoro non proceda per narrazioni lineari ma per rappresentazioni sinottiche, che ricostruiscono i percorsi in uno sguardo astratto ed allargato: una mappa insomma.
Lorenzo Vitturi. El Camino Y nada Mas (2021), Spazio Neutro
Mi viene in mente, per poter fare un paragone esplicativo, un esempio preciso, distante e allo stesso tempo assimilabile all’operazione di Vitturi sia per l’ossatura narrativa dell’opera, sia perché entrambi hanno come partenza o approdo il Veneto. Il viaggio di Vitturi ha come estremi Murano e Lima, in Perù, seguendo il proprio percorso biografico; quello di Geoffrey Hendricks, esponente fondatore del movimento Fluxus, e svoltosi nel luglio del 1974 in Norvegia, ad Asolo e a Rosa Pineta, compiendo e documentando azioni rituali che hanno a che fare anch’essi con un luogo originario: la Norvegia, patria dei nonni. E che sorpresa scoprire che il racconto di Cosimo Bizzarri, un sorta di “prologo” che, senza tradurre in modo diretto l’opera, ne chiarisce le istanze narrative, è ambientata proprio nel 1974!
Nelle fasi del suo viaggio, Hendricks raccoglie frammenti che sono la testimonianza di ciò che ha sostanziato le sue performance; il risultato di questo processo è un’edizione intitolata Between two points. L’opera di Hendricks è una raccolta di reliquie, nel loro significato più puro: ciò che rimane. In qualche maniera è qualcosa di meno rispetto alla fruizione diretta all’azione, che è il corpo stesso dell’artista; dall’altro diventa qualcosa di diverso, pieno di implicazioni culturali (la reliquia non è solo un frammento del corpo, è tutto ciò che è entrato in contatto col corpo) lasciando intendere che, nella perdita della traduzione, c’è quella parte di inconoscibile che è anche parte della ritualità e contiene tutto il suo portato originario e simbolico.
Per Vitturi l’aspetto performativo è certamente fondamentale per una serie di costanti: il viaggio, l’elemento autobiografico, l’esperienza diretta e l’interazione con i luoghi e le persone (agire, compiere una azione artistica in uno spazio simbolico); l’interesse socio politico, i materiali. Ma esso viene metabolizzato all’interno di una complessa ricomposizione di frammenti del reale che non hanno la funzione di martiri (testimoni), né di reliquie. Essi sono la rappresentazione di un percorso, non il percorso: sono corpi scultorei creati con frammenti della realtà, ma non sono strumenti di una azione passata, riproposti in quanto tali e musealizzati; essi sono ricomposti in un nuovo corpo, in un nuovo aspetto. Non descrivono, ma rappresentano; smettono di essere cose e diventano linguaggio.
Lorenzo Vitturi. El Camino Y nada Mas (2021), Spazio Neutro
Ne El Camino Y nada mas elementi tridimensionali si sovrappongono alle fotografie, si spingono nello spazio tridimensionale del box: strabordano dall’à-plat, eccitano lo sguardo con una componente in più, quella tattile, che ci fa intuire una relazione instabile con l’immagine; l’immagine irrequieta che non si limita a riscaldare il senso della vista alla McLuhan, ma afferra l’epidermide, guida i polpastrelli verso quel paradosso che è l’estetica percepita attraverso le mani, il tatto come fabbricatore di immagini al posto dell’occhio, con tutto ciò che ne consegue.
Nella pittura spesso il “narratore” è un personaggio che ci guarda negli occhi e con un gesto indica in che direzione va la narrazione. In quello sguardo c’è quasi uno scambio di ruoli, per cui io divento quel personaggio e mi rendo parte della storia. Le “figure” di Vitturi risucchiano con altri mezzi, quelli di cui sopra, lo spettatore. Egli si ritrova a condividere lo stesso spazio, lo spazio loro e quello delle immagini che le contengono; si trova al centro della storia che raccontano. Queste figure sostanziano una traiettoria, forniscono indicazioni spaziali: indicano direzioni, il sopra e il sotto.
Descrizione e narrazione sono strettamente legate: il racconto, inscrivendo un percorso, fa “passare” il viaggio, dissipa la mobilità della sua performanza nella stabilità delle tracce che costruiscono l’ordine dei luoghi attraversati (Marin).
Il viaggio di Vitturi non vuole essere narrato in senso lineare, poiché racconta un evento di per sé irrappresentabile (La ragione, o le traiettorie, della propria esistenza?); preferisce restare sul crinale tra il descrivere e il raccontare, inserendo l’elemento dell’informe che in un qualche modo sostituisce l’identità di un autore che immagina il percorso che porta alla costituzione di sé.
Lorenzo Vitturi. El Camino Y nada Mas (2021), Spazio Neutro
Deleuze definisce l’evento come la scaturigine del tempo, ciò che sostanzia un prima e un dopo; in un qualche modo, qui l’evento coincide con la rappresentazione di sé. L’opera di Vitturi diverrebbe una gigantesca cartografia che riconduce, e riduce ad unità, la sua identità personale e le opere prodotte: un grande autoritratto che, come ogni autoritratto, esibisce la sua paradossale aporia: l’autore non può rappresentare sé stesso nell’atto di realizzare la propria opera e l’opera stessa contemporaneamente. L’identità è quel grumo di cose che sostanziano il lessico delle sue opere; sono oggetti relazionali perché ci indicano non ciò che non può essere rappresentato ma la rappresentazione stessa.
Si tratta di un viaggio sinottico, in cui ogni parte ha importanza e si attiva nella relazione simultanea con tutte le altre parti. Il viaggio di El camino non si consuma nella temporalità paratattica ma nell’ipotassi simbolica della cartografia. In questo, la cartografia immaginata da Vitturi è l’espressione più adatta a raccoglierne le innumerevoli possibilità narrative: la mappa. La mappa non è solo la rappresentazione di un territorio, ma di un percorso, di un enigma, e di diverse possibilità. L’enigma dell’autore che si inserisce nel discorso occultandosi, dichiarando di essere in qualche modo la partenza e l’approdo di questa ricerca.
El camino è dunque una mappa che si estrinseca, narrativamente, nelle sue infinite possibilità combinatorie. Un atto creativo in cui il racconto si sovrappone al territorio, e geografia e narrazione diventano una cosa sola. (Bizzarri).
Venendo al titolo, ad Antonio Machado: El Camino Y nada mas, niente più del cammino, la poesia che dice al viandante che il cammino non lo fanno le impronte, ma il camminare. Sembra quasi che l’aurore, citandolo, ci dica che non è l’impronta (il passato), non è il cammino (il futuro), ma è il camminare (L’io, il presente, l’evento) a strutturare il senso del percorso.