#MuseoPOP / Notti brave nell’antica Roma

Accostare vita notturna e antica Roma potrebbe sembrare azzardato, ma lo storico Karl-Wilhelm Weeber dimostra il contrario in questo saggio piacevole e ben documentato, dal respiro narrativo.

Le fonti antiche, infatti, raccontano in modo ricco e dettagliato le noctes romanae, in cui gli abitanti dell’Urbe non si facevano mancare nulla, dai lauti banchetti al gioco dei dadi, dalle gare di bevute alle serenate notturne, agli atti vandalici, senza dimenticare la frequentazione delle prostitute e gli spettacoli alla luce delle fiaccole.

Se la vita notturna nella Roma moderna è decisamente movimentata, anche nella capitale dell’Impero non tutti riposavano, e la città non era certo silenziosa: i poeti Giovenale e Marziale sono tra i tanti a lamentarsi dell’incessante rumore dei carri che trasportavano merci e passeggeri, a causa del “divieto di circolazione” imposto da Cesare dall’alba alle 10 di sera.

A questi si aggiungevano i nottambuli veri e propri, che Seneca e Catone condannano come dissoluti e sfaccendati. Taverne e osterie si affollavano non solo di popolani, ma anche di personaggi ben più altolocati: sempre Giovenale ci parla dell’aristocratico console Laterano, che anziché provvedere alle difese dell’impero, “trascorre tutta la notte a giocare a dadi” e “bazzica le taverne sempre aperte di notte” (pervigiles popinae) della città-guarnigione di Ostia. Doppio scandalo, sia perché trascurava il proprio dovere, sia perché frequentava luoghi indecorosi: ma erano molti i rampolli romani a subire il fascino degli ambienti plebei, e l’accusa di luxuria popinalis emergeva spesso tra le diffamazioni rivolte anche tra avversari politici.
Qualche volta i gruppi di “giovinastri” di buona famiglia commettevano atti vandalici o provocavano violente risse. Uno degli episodi giunti fino a noi riguarda la “gang” aristocratica di Cesone Quintilio, che si rese colpevole di un brutale omicidio. Marco Volscio, fratello della vittima ed ex tribuno della plebe, dopo una denuncia inascoltata fece appello al popolo: Cesone sfuggì per un soffio al linciaggio, andando poi in esilio volontario in Etruria.
Ma il più famigerato di tutti i grassatores, i teppisti, pare sia stato il giovane Nerone: a giudicare dai racconti dei suoi biografi, in incognito con la sua “banda” tormentava gli incauti passanti, e anche quando le vittime erano altolocate, era sempre l’imperatore ad averla vinta.

Altri imperatori sono stati accusati di ebrietas e aleae infamia, ebbrezza e schiavitù del gioco d’azzardo, con cui riempivano lunghe nottate: pare che l’imperatore Claudio abbia addirittura progettato un tavoliere da gioco portatile, e scritto un libro sull’argomento.
Anche al netto di eventuali racconti accentuati dai biografi di imperatori già circondati da pessima fama, si può comunque presumere che di notte le strade di Roma fossero abitualmente rese insicure da personaggi pericolosi.
Molti locali notturni in realtà erano aperti anche di giorno, e fungevano da ristoranti, tavole calde o take away, mentre altri davano alloggio: naturalmente i proprietari non mancavano di farsi pubblicità con scritte sui muri, insegne vistose e fiaccole a indicare la via, e graziose locandiere affacciate sulla porta: la locanda di Mercurio e Apollo a Lione prometteva agli ospiti “un soggiorno senza rimpianti”.
Alcune taverne infatti esercitavano, in modo nemmeno troppo nascosto, varie forme di prostituzione: era considerata una professione legale, ma si doveva essere iscritte ad un apposito registro. La legislazione romana tentava, appunto, di regolamentare questo e altri aspetti della vita notturna, mentre la condanna morale persisteva.

Per quanto riguarda invece le feste private, le fonti riportano che persino Catone Uticense, notissimo e severo senatore, fu pizzicato più volte in giro per le strade all’alba in stato di ebbrezza, probabilmente reduce da uno dei tanti banchetti che si protraevano per l’intera nottata nelle lussuose domus, tra gozzoviglie, gare di bevute e giochi conviviali.
Anche ai banchetti però si tentava di mettere delle regole: i partecipanti non volevano annoiarsi, e dunque si stabiliva che nessuno si prendesse troppo spazio per lunghi e noiosi sproloqui.
Si cercava insomma di alternare una conversazione di livello a indovinelli, sciarade e letture di brani poetici e teatrali, spettacoli musicali e di danza, eseguiti da celebri attori e ballerini professionisti ingaggiati per la serata.

Naturalmente non tutti passavano le notti tra banchetti e risse: Weeber dedica un capitolo anche alla nutrita produzione poetica che gli autori antichi hanno dedicato alle gioie dell’amore notturno, ricordandoci che una notte senza amore era considerata sprecata e che era il momento ideale per lunghe battaglie combattute a letto.

Occasionalmente anche il popolo poteva godere di intrattenimenti dedicati a tutti: tra gli altri, si ricordano i Neronia, giochi sportivi e competizioni artistiche introdotte da Nerone, che si svolsero eccezionalmente anche di notte, alla luce delle fiaccole, con un effetto davvero spettacolare.
Già l’imperatore Augusto, molti anni prima, aveva sfruttato questi “effetti speciali” notturni per celebrare l’anniversario della sua ascesa al potere.

Le torce che illuminavano questi spettacoli ci portano ad un ultimo, ma fondamentale elemento delle notti romane: il fuoco, utilizzato in moltissime forme (lucerne, lanterne, bracieri, torce..) per scaldarsi, cucinare e per illuminare case e strade: secondo le stime, nell’antica Roma scoppiavano decine di incendi ogni giorno, alcuni anche gravi. Dopo l’introduzione da parte di Crasso di un corpo di vigili del fuoco privati nel I secolo a.C. (che però intervenivano solo se poi il proprietario avesse venduto a Crasso), il tribuno Egnazio Rufo creò un altro corpo privato che interveniva gratuitamente, e che lo rese molto popolare.
Forse anche con questa idea di presentarsi come benefattore del popolo, fu poi l’imperatore Augusto a creare un vero corpo di vigili del fuoco pubblici, che arrivarono a essere ben 7000 nel 200 d.C.: organizzati con una struttura paramilitare, erano divisi in guarnigioni e avevano anche compiti di polizia. Ancora una volta, i Romani ci hanno insegnato una lezione.

Chiara Ferretti
Ufficio comunicazione
Musei Civici di Reggio Emilia


La vita notturna nell’antica Roma
(traduzione di Sara Cortesia), 176 pagine, 2007, Newton Compton Editori

Karl Wilhelm Weeber, nato nel 1950, è storico e filologo classico. Vive e lavora in Germania, dove insegna Storia antica e Didattica delle lingue antiche. È autore di numerosi libri dedicati a vari aspetti della quotidianità nel mondo antico.