5 Giugno 2020. Giornata mondiale dell’ambiente
Il Museo per l’Ambiente: una visione transdisciplinare
Quale poteva essere l’impatto di un uomo preistorico sulla natura che lo circondava? Quanto era pesante l’impronta ecologica di un antico romano? L’inquinamento prodotto durante la prima rivoluzione industriale era paragonabile a quello attuale?
Sono domande che possono aiutare a riflettere sulla problematica del rispetto per l’ambiente e dell’individuazione degli stili di vita più sostenibili, attraverso l’analisi, il confronto e la scelta delle azioni e degli approcci migliori riferiti al contesto in cui si vive.
In un museo che da tempo sfrutta la transdisciplinarità per affrontare i temi più delicati e significativi come appunto quello della sostenibilità ambientale, la possibilità di avere a disposizione collezioni afferenti a diverse discipline (artistiche, archeologiche, storiche e naturalistiche) è sicuramente una risorsa importantissima, non solo per avviare confronti e approfondimenti, ma per osservare le cose contemporaneamente da più punti di vista e intrecciare i loro significati. Questo avviene ai Musei Civici di Reggio Emilia.
Ci si può ad esempio soffermare sulle selci lavorate del Museo Chierici, per ragionare sull’industria litica preistorica e instaurare connessioni con l’attuale sfruttamento minerario e la realizzazione di cave, ma anche si possono osservare i sepolcri dell’età del rame e pensare al ruolo dei metalli nella storia dell’uomo, comprendendo la devastazione ambientale causata dalla ricerca metallifera in Congo e in altri stati africani.
Un esempio questo di come una collezione ottocentesca si riveli assolutamente contemporanea nell’innescare confronti e riflessioni di portata globale.
Anche i reperti dei nativi americani diventano uno strumento potente ed evocativo nel momento in cui ci raccontano del rispetto dell’uomo per la natura, dalla quale ottengono tanto, ma alla quale restituiscono nella stessa misura, se non altro in forma di simboli e riti di ringraziamento.
Non molto diversamente del resto da quello che fanno le tribù degli indios amazzonici quando si preoccupano di non uccidere con le frecce, ma solo tramortire, gli uccelli dai colori variopinti, delle cui magnifiche penne si adornano il corpo.
Un rispetto questo di cui non c’è più traccia appena si ragiona sulla caccia grossa e la pesca intensiva, pratiche anche legali, ma sicuramente non più sostenibili in un mondo che dovrebbe essere sempre più coscienzioso e che si considera civilizzato.
Le collezioni zoologiche aiutano a ragionare su questo e su come il concetto di scienza sia cambiato nei secoli, dai necessari esperimenti pionieristici su anfibi e rettili ad opera dell’abate Spallanzani e di cui si conservano ancora tracce nella collezione che porta il suo nome, ai trofei di caccia del barone Franchetti, restituiti alla scienza di inizio XX secolo, nel patrio museo reggiano.
È doveroso, nell’ottica di responsabilità oggettiva e impatto sostenibile, approfondire nascita e sviluppo dell’agricoltura, pratica che ha segnato per sempre il rapporto uomo/natura e che ha modificato i reciproci ruoli di dipendenza.
In questo contesto, la centuriazione e la trasformazione del territorio attraverso le grandi opere di disboscamento e di bonifica durante il periodo romano sono la base di un climax il cui vertice è la devastazione della foresta amazzonica che si sta perpetrando in sud America.
Tra le collezioni pittoriche, l’analisi dei quadri degli artisti reggiani dell’800 permette di ricostruire gli stili di vita di una società vincolata al paesaggio naturale quasi incontaminato e ai frutti della sua terra; quelli del ‘900 consentono invece di indagare le pratiche sapienti della agricoltura emiliana, ancora intimamente legate al necessario rispetto della terra, sfruttata sempre in un modo sostenibile, tra filari di viti e animali da cortile. E proprio tra gli animali domestici ospitati nella sala di zoologia si può affrontare la complessa relazione dell’allevamento che da invenzione scaturita in seguito allo sviluppo agricolo diventa al giorno d’oggi una pratica troppo spesso intensiva, che diminuisce i numeri della biodiversità animale al pari di quella vegetale solo per il profitto legato all’aumento della produttività.
Molti, tra le collezioni zoologiche, gli esempi di animali “costruiti” dall’uomo: cane, gallina, maiale… ottenuti trasformando, attraverso la selezione artificiale, le forme originali, ad uso delle esigenze alimentari umane.
I reperti più significativi per parlare degli incredibili danni che l’uomo, attraverso tutte le forme di inquinamento legate al petrolio, sta arrecando all’ambiente, sono paradossalmente i più antichi: fossili di milioni e milioni di anni che si sono formati in tempi lunghissimi e che si stanno molto velocemente esaurendo nel sottosuolo terrestre. In nome della dea Energia, in poco più di un secolo l’uomo ha quasi esaurito le scorte che la natura ha predisposto in oltre 300 milioni di anni…
Al Palazzo dei Musei di Reggio Emilia, le vetrine e le sale sono quindi uno strumento potente per analizzare l’evoluzione degli stili di vita nelle varie epoche e per capire come l’impatto dell’uomo sulla natura stia arrivando a un punto di non ritorno. Per evitare il quale occorre lasciarsi ispirare da chi è venuto prima di noi e, magari, farsi aiutare dalle incredibili collezioni civiche.
Riccardo Campanini
Responsabile Progetti Educativi
Musei Civici di Reggio Emilia