L’imperatore della Pianosa

Nella Reggio Emilia degli anni in cui si realizza l’unità politica italiana il dott. Leopoldo Ponticelli svolge una delicata opera di mediazione, grazie anche alla parentela con l’avv. Federico Ferroni, esponente di spicco della nuova classe dirigente.
Delegato di Pubblica Sicurezza in Garfagnana, fin dal 1859 Ponticelli si impegnò con passione nel progetto di una ferrovia transappenninica, che collegasse Lucca con Reggio, città del Tricolore e porta della Lombardia. L’ormai imminente taglio dell’istmo di Suez avrebbe infatti reso il porto di Livorno un nodo strategico nel traffico commerciale fra l’Europa e l’India. Il ruolo di Ponticelli fu quello di tenere i collegamenti fra la società promotrice, che a Lucca faceva capo al marchese G.B. Bottini, e il comitato reggiano, forte delle risorse messe a disposizione dalla Provincia e del sostegno della stampa locale. Come noto, la concorrenza di progetti alternativi, avrebbe portato in seguito il Governo italiano a privilegiare la linea Parma – La Spezia, così che la Reggio – Lucca sarebbe rimasta sulla carta.
Nel 1871 Ponticelli si vide conferire l’incarico di direttore (il secondo nella storia del penitenziario) della colonia penale agricola di Pianosa, che avrebbe conservato per un ventennio, divenendo a tutti gli effetti l’imperatore dell’isola, secondo l’efficace definizione di don Gaetano Chierici. In questa veste Ponticelli non solo diede alle strutture penitenziarie l’elegante forma architettonica che ancora conservano, ispirata al gusto eclettico del suo tempo; ma soprattutto fece di Pianosa il laboratorio di nuove strategie nel trattamento dei detenuti, una colonia penale modello, in cui si tendeva alla rieducazione dei reclusi attraverso il lavoro dei campi: costante lo sforzo di aggiornamento di Ponticelli nei campi delle tecniche agronomiche, della vinificazione, della floricoltura. Delle sue attenzioni nei confronti dei detenuti fa fede una lettera all’amico don Chierici nella quale, manifestando preoccupazione per le condizioni sanitarie dell’isola, riferisce della sostituzione di due medici del penitenziario, il secondo dei quali, “della forza di 18 somari”, lo costringeva ad improvvisarsi medico lui stesso. La sua attitudine al comando, anche in condizioni di emergenza, traspare dagli episodi dei soccorsi prestati il 4 aprile 1872, alla testa di guardie e detenuti, ai naufraghi del piroscafo spagnolo Quevedo; e il 29 e 30 ottobre 1873 a quelli di un brik tunisino affondato di fronte ai “bagni di Agrippa.
Quando il 24 settembre del 1874 don Gaetano Chierici mise piede sull’isola, invitato dal concittadino Ponticelli, i detenuti della colonia penale erano 600 (muratori ed agricoltori). Favorito in ogni modo dal direttore della colonia, Chierici poté per un mese condurre ricerche nei diversi contesti archeologici dell’isola. A Ponticelli avrebbe dedicato la breve monografia Antichi monumenti della Pianosa, senza mancare di manifestare la sua ammirazione per la “meravigliosa novità d’una terra selvaggia, che l’espiazione della colpa muta in un giardino”. L’esperienza poté essere ripetuta l’anno seguente ed assicurare al Museo di Reggio Emilia un’importante sezione sull’archeologia dell’isola, cui Ponticelli volle aggiungere, a titolo di doni personali, la valvola di acquedotto in bronzo ed un cestino cinese in avorio.
Gli straordinari risultati conseguiti a Pianosa indussero il Direttore generale delle carceri ad affidare a Ponticelli nel 1884 l’incarico di individuare la località idonea ad essere sede di un nuovo manicomio criminale e di definirne il progetto, e a nominarlo infine direttore della nuova struttura. Ponticelli dovette di conseguenza lasciare Pianosa non senza grande afflizione, per dedicarsi al nuovo prestigioso incarico. La scelta del manicomio cadde sulla villa granducale dell’Ambrogiana a Montelupo Fiorentino, che offriva i vantaggi di trovarsi al centro della penisola, in un luogo salubre, isolato, servito dalla ferrovia. I lavori edili che si resero necessari per adattare l’antica struttura alle nuove funzioni furono eseguiti dai detenuti stessi. Molte delle migliorie progettate per rendere più accettabili le loro condizioni di vita nascevano da intuizioni di Ponticelli, come il sistema di illuminazione “che non ecciti colla luce soverchia e non impedisca il sonno, che non sia a portata dell’ammalato, che si possa regolare a piacere senza entrare nella stanza … che per ultimo non consumi l’aria interna delle stanze con pregiudizio di chi vi dimora”. Dando prova di onestà e senso dell’economia, le spese riuscì a limitare le spese a 50.000 lire, a fronte delle 100.000 preventivate. (R.M.)
DOVE Museo “G. Chierici” di Paletnologia