Una facciata autobiografica

Nel costruire la sua galleria, Luigi Parmeggiani non si è negato nulla. Nel suo immaginario il palazzo non è il semplice contenitore delle sue collezioni: il palazzo è parte integrante delle stesse. L’edificio, attraverso la sua forma e le sue decorazioni, deve anticipare le emozioni che i visitatori proveranno dinnanzi agli oggetti conservati nelle sale d’esposizione. Esterno ed interno non sono separati, vivono un rapporto dialettico. Egli immagina, e fa costruire all’ing. Ferrari, uno straordinario edificio goticheggiante che presenta al contempo caratteri civili e sacri. L’ispirazione gli viene da un reliquiario a forma di chiesa, falso Marcy del XIX secolo, presente nella galleria.
Tutta la struttura è circondata da mostri, sette come i vizi capitali; su mensole si trovano i busti di Raffaello, Michelangelo, Leonardo, Cellini. Per Parmeggiani questa è un’allegoria dell’arte, aggredita dalle brutture del mondo, ma difesa da chi meglio l’ha espressa. Le finestre a sesto acuto, con cuspidi orientaleggianti, portano al centro un piccolo scudo. Sullo scudo, a bassorilievo, stanno le riproduzioni di oggetti o di particolari degli stessi presenti all’interno.
Esiste anche una lettura più azzardata. La facciata è un’autobiografia simbolica del Parmeggiani. I mostri sono i vizi che hanno prevalso nella sua turbolenta gioventù. L’incontro con l’arte poi ha avuto una funzione catartica e lo ha trasformato in collezionista – mecenate. Entrambe le letture trovano compimento nel portale d’accesso. Si tratta di un originale portale ebraico moresco del quattrocento, trasportato qui pezzo per pezzo da Valencia. Una scritta recita: “tutto quel che possediamo è destinato a perire. Rimane solamente il bene che abbiamo operato”. Il che, ripensando alla vita di Parmeggiani, non ci lascia del tutto convinti. (A. M.)
DOVE: Galleria Parmeggiani