“Les chassepots ont fait des merveilles” con questa frase, di cinico realismo, il generale De Failly comunicò la disfatta garibaldina di Mentana. Il 3 Novembre 1867 gli zuavi francesi, al servizio di Papa Pio IX, decimarono, grazie alla potenza e alla velocità di fuoco dei nuovi fucili a spillo “chassepots”, i volontari italiani che cercavano di raggiungere Roma.
Alcuni reggiani, almeno ottanta, militavano tra questi garibaldini. Ne ricordiamo due: Eugenio Bianchini e Leopoldo Ravà.
Bianchini, nato a Reggio nel 1843, era stato avviato dalla famiglia alla vita religiosa. Il suo spirito patriottico e repubblicano lo spinse, ben presto, fuori dal seminario. A soli 17 anni partecipò ai moti di Lunigiana; cercò poi di raggiungere Genova per imbarcarsi coi Mille. Arrivò in ritardo ma non si perse d’animo e raggiunse Garibaldi in Sicilia; partecipò poi allo sbarco a Reggio Calabria, combatté al Volturno ed ottenne i gradi di ufficiale alla battaglia di Maddaloni. Lo ritroviamo, sempre coi garibaldini, in Trentino nel 1866; nel 1867 è a Mentana.
Leopoldo Ravà nasce, da famiglia di religione ebraica, nel 1845. Viene avviato agli studi di ragioneria ed anche lui si riconosce negli ideali repubblicani e patriottici. Ravà nel 1866 è in Trentino, nel 1867 a Mentana. Entrambi vengono feriti dagli “chassepots”, entrambi sono portati a Roma in un ospedale retto dai Gesuiti, entrambi rifiutano i conforti religiosi. Entrambi, nel giro di pochi giorni, muoiono.
A Reggio si diffonde il sospetto che, proprio per il rifiuto dei conforti religiosi, i Gesuiti li abbiano lasciati morire interrompendo le cure. Di Leopoldo Ravà ci rimane la lapide al cimitero israelita: “volle morire da ebreo (…). Benedetto, il nome del caduto per la patria, tra tutte le genti”.
Di Eugenio Bianchini ci rimane nel Museo del Tricolore un bel ritratto, opera di Gaetano Chierici. Nel cartiglio, posto alla base dell’importante cornice, si legge a fatica, sotto una più recente e inopportuna doratura, la scritta originaria: “morto nelle mani dei preti assassini”. Nel clima violentemente anticlericale degli anni settanta dell’Ottocento le voci e i sospetti, si materializzarono in un testo scritto. (A. M.)
DOVE: Museo del Tricolore