Ai giorni nostri il dialetto “arsàn” se non è già morto è una lingua in fase terminale. Nelle strade, nelle piazze, nei bar è assai raro ascoltare frasi complete ed ancor più difficile è udire discorsi articolati pronunciati nel nostro dialetto. Solamente persone molto anziane continuano ad usarlo come lingua corrente. Curiosamente il teatro dialettale attira un pubblico numeroso. Si tengono pure svariati concorsi poetici. Se andiamo a leggere i testi presentati, troveremo che i temi prevalenti sono la nostalgia per i bei tempi andati, la gioventù che non c’è più, il ricordo di persone care scomparse. Prevalgono spesso il diminutivo e il vezzeggiativo. Il nostro dialetto si è quindi ridotto ad espressione del comico, il teatro dialettale, o a testimonianza di memoria nostalgica.
Non era così quando il dialetto era l’unico idioma popolare. In “arsàn” era espressa una vastissima gamma di sentimenti. Tutti i fatti della vita erano raccontati in dialetto. Non solo le piccole cose quotidiane ma anche gli avvenimenti della grande storia. In una bacheca del “Museo del Tricolore” è conservato un frammento di carta che porta scritta, in un bel corsivo ottocentesco, una quartina: “Carel Albert la fat la suppa / Pio IX al gha dè al pan / e Tedeschi al’ha bagneda / con al sangov di talian”. In questi versi, non eccelsi, trova espressione il primo grande naufragio, la I guerra d’Indipendenza del 1848, di molte illusioni di quei reggiani che aspiravano alla libertà. I patrioti, consapevoli probabilmente, della lezione del romanticismo sulle lingue popolari, non disdegnano il dialetto, anzi lo considerano uno strumento da utilizzare per la formazione dello spirito popolare. (A. M.)
DOVE: Museo del Tricolore