Le donne ricoverate nel corso della prima guerra mondiale

Le patologie femminili delle pazienti ricoverate nel corso della prima guerra mondiale

La prima guerra mondiale non ha solamente distrutto edifici, case e città intere ma ha anche fortemente leso la sanità fisica dei civili con morti e mutilazioni e anche quella mentale di chi ne è entrato in contatto. Normalmente quando si parla di “psicopatologie della guerra” si parla delle patologie che affliggono gli uomini che hanno combattuto in prima linea, in questo dimentichiamo un’importante parte della società: cioè le donne. Di loro se ne è occupata la dott. Maria Del Rio in un articolo del 1916 che riporta esempi di donne affette da queste psicopatologie ricoverate all’ospedale San Lazzaro.

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Non solo gli uomini al fronte subivano gravi danni psicologici, ma anche le mogli, le madri  e le sorelle  che li attendevano a casa inermi. Le donne ricoverate all’interno del San Lazzaro aveva un età media tra i 40 e i 50 anni e presentavano i sintomi della melanconia (depressione), isteria e soprattutto disturbo bipolare (cioè stati di eccitamento alternati a stati melanconici). Inoltre le cartelle cliniche ci raccontano che le pazienti presentavano insonnia e difficoltà nel mangiare, tant’è che spesso il cibo veniva somministrato loro a forza. Quasi tutte le donne che presentavano questa sintomatologia erano donne con figli o, più spesso, mariti partiti e morti al fronte appartenenti alla quarta classe, la società infatti era suddivisa in quattro classi: la prima era quella con reddito maggiore, mentre la quarta comprendeva contadini o comunque  persone uno stipendio misero. Sapere di avere i propri cari in guerra causava un forte senso di angoscia e depressione che sfociava nella malattia; le patologie più gravi si manifestavano nelle donne con figli, poiché ad esse veniva tolta la colonna portante della loro famiglia e anche il loro sostentamento, infatti le donne all’epoca difficilmente avevano un impiego. Il loro stato emotivo le faceva ammalare a tal punto dal tentare il suicidio, e in alcuni casi l’omicidio del figlio, poiché ritenevano di salvarlo da una vita di  stenti. Un esempio significativo è il caso di Osmana: comincia a soffrire di melanconia dopo la partenza del marito, ma raggiunge il culmine della malattia quando arriva la lettera che comunicava il decesso del marito al fronte.

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I disturbi la portano ad accoltellare il figlio per salvarlo da una vita di stenti. Il ricovero avviene dopo questo tragico evento. Non vi erano efficaci e specifiche terapie di cura, perciò queste paziente difficilmente uscivano dall’ospedale psichiatrico, soprattutto a causa delle famiglie che non erano in grado di mantenerle e di dare un’assistenza adeguata ai loro bisogni.

 

Testi di:  Francesca Lazzarini, Rossella Parmiggiani, Elena Russo, Martina Valentini, Valeria Wildner