Vivat Pandur

Tra le tante armi raccolte da Naborre Campanini, per la collezione da lui formata delle “Arti Industriali”, una mostra un’intrigante particolarità. Si tratta di un “Paloscio”. Con questo termine viene indicata una lama che è una via di mezzo tra la sciabola ed il coltellaccio. Questa era l’arma tipica usata dai battitori, durante le partite di caccia, nei casi in cui ci si dovesse difendere dall’assalto di grandi animali quali orsi, cinghiali, cervi. Il “Paloscio”, fabbricato in Austria nel terzo quarto del XVIII secolo, è una bella arma: ha un’impugnatura in corno biondo con decorazioni a spirale di color verde e fili di rame ed una lama tutta incisa.
Tra le incisioni di bandiere e trofei, proprio vicino al guardavano, spilla una figura. E’ un uomo imponente con colbacco, mantello di pelo, fucile a tracolla e due appuntiti mustacchi. In un cartiglio si legge “Vivat Pandur” tradotto letteralmente “Evviva i Panduri”. Bisogna quindi capire chi fossero questi “Panduri”. Con questo nome erano chiamati i veterani dell’esercito Imperiale Asburgico che, alla fine della loro carriera militare, accettavano in concessione terre poste sui confini balcanici con l’Impero Ottomano. Questi veterani, tutti di origine slava e di religione cristiana, si impegnavano a contrastare le frequenti incursioni degli Ottomani Musulmani. Era uno stato di guerra non dichiarato e, come sempre in questi casi, di conseguenza sanguinoso e senza norme.
E’ interessante trovare in un’arma, conservata a Reggio, la testimonianza di quanto siano lontane, nel tempo, le cause che hanno portato alle orrende guerre balcaniche che hanno segnato l’ultimo decennio del XX secolo.(A.M.)
DOVE: For inspiration only, Diorama B